Considerazioni sul rapporto Riserve/Produzione
Nationalekonomiska Institutionen,
Uppsala University,
Uppsala, Sweden
Da:
Logic and the Oil Future: a Modern Survey (In press)
Traduzione e adattamento di Ugo Bardi
www.aspoitalia.net
Questo testo è una sintesi e un adattamento di un articolo in preparazione dell’economista Ferdinand E. Banks. In particolare, sono state qui tradotte alcune considerazioni di Banks riguardo al “rapporto riserve/produzione” (R/q) che viene spesso utilizzato per negare l’esistenza di qualsiasi problema di scarsità di petrolio sul mercato mondiale. Banks dimostra qui che anche con un rapporto R/q costante è perfettamente possibile che la produzione declini, il che è il problema principale che ci troviamo di fronte a breve scadenza – ben diverso da quello dell esaurimento fisico del petrolio, ancora molto lontano nel tempo. Queste considerazioni sono fonramentali per chiarire la situazione di generale confusione che si verifica quando si discute di questo argomento. L’autore della traduzione/sintesi (Ugo Bardi) ringrazia Ferdinand Banks per il suo permesso di operare in questo modo sul suo articolo.
“Le risorse sulle quali abbiamo costruito la nostra vita sono in esaurimento”
George Monbiot
La combinazione di una domanda di petrolio che continua a crescere, e di riserve petrolifere in stagnazione o in declino, assicura che gli attuali alti costi del petrolio sono permanenti, sebbene “alti” sia un termine non esattamente definibile al momento. Una cosa è comunque certa: non significa i ventun dollari al barile (= $21/b) che i cosiddetti esperti predicevano due o tre anni fa, e neppure il prezzo di $18/b che veniva proposto qualche annoi fa come un livello di equilibrio da una brava persona che ha anche accusato l’ OPEC di tentare di “regolare” il prezzo.
Secondo un osservatore non identificato citato in una pubblicazione della Swedish Energy Agency, il mercato del petrolio arriverà alla fine a un “equilibrio” sebbene si dica che questo richiederà alcuni anni. Per quello che vale questo ragionamento, si suppone che questo “equilibrio” arriverà grazie a nuovi investimenti e produzione nel golfo del Messico, con impianti offshore al largo dell’Africa occidentale e della costa est del Brasile, e nella zona del Caspio. Sfortunatamente, premesse sbagliate tendono a portare a conclusioni sbagliate. L’ultima volta in cui le scoperte petrolifere sono state pari alla produzione o al consumo è stato nel 1986 e, alla luce di questo triste fatto soltanto, i manager in cerca di una carriera nelle varie parti del mondo troveranno altri usi per le loro risorse finanziarie piuttosto che abbandonare i criteri di massimizzazione dei profitti che sono stati loro insegnati (come pure ai lettori di questa nota) nei corsi di base di economia del tipo che aveva dato così tante difficoltà al presidente John F. Kennedy quando studiava a Harvard. E’ anche molto probabile – per esempio - che l’area del Caspio sia fortemente sovrastimata in termini delle risorse petrolifere disponibili in confronto a quelle desiderate. (vedi qui l’articolo di Ugo Bardi “La febbre del Caspio”)
Una cosa anche peggiore dell’esistenza attuale del deficit di consumo/scoperte è il fatto che questo deficit ha continuato ad esistere e allargarsi anche dopo la fase più intensa di esplorazione petrolifera mondiale che si verificò subito dopo l’inizio della fase di deficit. Inoltre, verso la fine del 2004, secondo le stime si trovava soltanto un barile di petrolio per ogni quattro consumati. Sembra che le principali compagnie petrolifere stiano trovando crescenti difficoltà per rimpiazzare le riserve, nonostante i profitti record dovuti agli alti prezzi del petrolio che, in principio, potrebbero essere utilizzati per l’esplorazione e la produzione.
La situazione si spiega come dovuta a quel fenomeno geologico che si definisce come “declino naturale” che rappresenta la spiegazione più logica e più ovvia della situazione attuale. Rimane comunque da spiegare come mai, quando si discute di “rapporto riserve/produzione” c’è sempre qualcuno che ripete che questo rapporto è dell’ordine di 40 anni a livello mondiale e, quindi, che problema c’è?
Uno dei miei economisti preferiti insiste che si continuerà a produrre petrolio per una ragione o per un altra per i prossimi 5.000 o 10.000 anni. Questa è una nobile predizione e sicuramente corretta, ma scarsamente interessante e di valore scientifico molto limitato. E’ persino di minore importanza del fatto ben noto che il petrolio era in uso probabilmente già 5.000 o 10.000 anni fa, sebbene si conti il 1860 o giù di li come l’inizio dell’era del petrolio. Così, quando qualche persona importante ci racconta che ci sono 40 anni di petrolio sottoterra anche se non ne trovassimo più una sola goccia, allora è consigliabile disconnettersi dall’arringa o dalla conferenza in corso.
Il problema da tenere in mente non è che i 40 anni di questo inutile calcolo si riducono bene al di sotto dei 30 se si tiene conto dell’attuale tasso di crescita dei consumi (relativo alla crescita delle riserve), ma piuttosto che la scarsità deve essere definita in relazione alla data in cui l’output mondiale ha il suo massimo, ovvero quando l’output per l’anno ‘t’ ( = qt) sarà minore o uguale all’output per l’anno ‘t – 1’ ( = qt-1), ovvero qt ≤ qt-1.
Vale la pena domandarsi perché c’è tanta confusione su questo punto, che sembra derivare da una fiducia eccessiva nel modello di Hotelling del 1931 dell’esaurimento delle risorse come un mezzo per analizzare il mercato mondiale del petrolio. Questa fiducia suggerisce una confusione sistematica del tipo di logica tradizionale promossa da certe “superstar” scientifiche come Wittgenstein. L’osservazione cruciale in questa occasione è che la pressione interna è il parametro principale che determina la strategia ottimale di sfruttamento del giacimento, e non il tasso di interesse (come vorrebbe Hotelling). Questa è una cosa ovvia per i geologi del petrolio, ma non per molte persone con le quali mi confronto a conferenze e seminari. Cose come la pressione di un giacimento petrolifero sono totalmente aliene al modo di pensare di studiosi e insegnanti di economia o finanza internazionale e costoro hanno tutta l’intenzione di mantenere come tali i loro processi mentali.
L’ammontare della pressione in un pozzo petrolifero (o di gas), come pure il profilo della produzione precedente in funzione del tempo, determina i principali fattori che, a loro volta, determinano la produzione. Il profilo della produzione per molti giacimenti è così sensibile alla velocità di produzione che se la produzione supera un certo livello per un certo tempo, allora la quantità estraibile totale può ridursi sostanzialmente. Secondo un recente studio di Matthew Simmons (“Twilight in the Desert”, 2005) questo è il caso di molti giacimenti dell’Arabia Saudita.
Vale la pena anche di notare la differenza fra il “petrolio esistente” e il concetto di “riserva estraibile”. Nel mio libro sul petrolio (1980), descrivevo come la media della frazione delle risorse estraibili fosse circa il 32% del totale. Mi dicono che oggi è circa il 35%, tuttavia la realtà di una conversione massiccia di petrolio esistente a riserve estraibili rimane lontana oggi così come lo era 25 anni fa.
Torniamo ora al discorso del rapporto R/q. In sostanza, quando R/q di un giacimento scende sotto un valore di circa dieci – che possiamo definire come il valore critico di R/q (= θ*) – (nota di UB. Questo valore di “10” deve ovviamente intendersi come un’approssimazione di massima, utile per i calcoli che verranno sviluppati nel seguito dall’autore) Questo rapporto critico determinerà la produzione nel senso che la produzione “dovrebbe” adattarsi a un livello tale da mantenere R/q costante. Per quale ragione? Principalmente perchè se R/q scende sotto il valore critico, il giacimento viene “sovrasfruttato” e questo finirebbe per ridurre l’ammontare di petrolio totale che si potrà alla fine ottenere da quel giacimento. Questo è qualcosa che somiglia a viaggiare a una velocità talmente alta con un’automobile da causarne un rapido degrado meccanico. Detto in altro modo, il rapporto critico R/q è un indicatore numerico della capacità ottimale di produzione di un pozzo, giacimento, o anche di un’intera regione petrolifera.
Vale la pena di fare un esempio. Assumiamo di avere un giacimento di 225 unità (= R) di riserve petrolifere e che desideriamo estrarre 15 unità all’anno. Assumiamo anche che il nostro R/q critico sia 10. Da questo deriviamo che possiamo avere l’output desirato per 5 anni. Durante questo periodo, R/q scende da 14 (alla fine del primo anno) a 10 alla fine del quinto anno, mentre le riserve calano a 150 unità. Dopo questa fase, tuttavia, se continuiamo a estrarre q = 15 unità/anno, ci troviamo a violare la condizione descritta sopra, ovvero che R/q rimanga uguale o superiore a 10.
Per mantenere il rapporto R/q a 10, la produzione nel sesto anno non dovrebbe essere maggiore di 13.64. (R/q = (150 – 13.64)/13.64 = 10). Di questo passo, la produzione nel settimo anno non può essere maggiore di 12.4. Generalizzando, 10 ≤ Rt/qt ≤ (Rt-1 – qt)/qt. Risolvendo questa espressione, si ha qt ≤ Rt-1/(1+ θ*)).
Possiamo notare che l’output comincia a declinare quando rimane ancora una gran quantità di petrolio da estrarre. Se guardiamo i profili di produzione delle principali regioni petrolifere mondiali, come gli Stati Uniti, vediamo che il picco di produzione – e il conseguente declino – si verifica quando grandi quantità di riserve rimangono sottoterra e – in aggiunta – una grande quantità di queste riserve rimangono estraibili immediatamente. Di conseguenza, il picco si spiega con considerazioni di tipo economico e non geologico. Non se ne estrae di più, ritardando il picco, in conseguenza del fatto che per ottimizzare i profitti, conviene estrarlo più tardi (nota di UB: questo non esclude che operatori privi di scrupoli non preferiscano la strategia del “prendi i soldi e scappa”, ovvero sfruttare il pozzo al massimo per qualche anno, poi venderlo e al diavolo chi viene dopo; rovinando in pratica il giacimento. In certi casi, è successo). Come spiegato in Banks (2003, 1987), la geologia è in questo caso un fattore limitante. Questo è un punto cruciale che i lettori di questo articcolo dovrebbero sforzarsi di capire.
Considero l’esempio appena fatto come molto più utile nel discutere a proposito del petrolio che tutte le inutili estensioni del modello di Hotelling. Il modello appena descritto si estende facilmente a includere l’aumento sia delle riserve come del consumo utilizzando funzioni qualiRt = R0(1 + y)t e qt = q0(1 + x)t , introducendo “x” e “y” come, rispettivamente i tassi di crescita delle riserve e della produzione. Un calcolo algebrico semplice conduce adesso a un’interessante conclusione a proposito del rapporto R/q. Cominciamo con l’espressione Rt+1 = Rt – qt + yRt. Attraverso l’espressione θ = R/q per i periodi appropriati (i.e. ‘t’ e ‘t+1’) sostituendo si ottiene che:
θt + yθt – 1 = θt+1(1 + x) (oppure) θt(1 + y) – 1 = θt+1(1 + x)
Il passo successivo è crivere θt+1 = θt + Δθt. Se assumiamo che Δθ è piccolo e quindi che xΔθt → 0, otteniamo dopo qualche manipolazione che
Δθ = θt(y – x) – 1.
Ci domandiamo ora che cosa è richiesto perché Δθ sia maggiore di zero, ovvero perché le riserve crescano in comparazione all’output. La risposta è che dobbiamo avere (y – x) > 1/θt. Per spiegare la Rt = R0(1 + y)t e qt = q0(1 + x)t , introducendo “x” e “y”come i tassi di crescita delle riserve e della produzione.
Un calcolo algebrico semplice conduce adesso a un’interessante conclusione a proposito del rapporto R/q. Cominciamo con l’espressione Rt+1 = Rt – qt + yRt. Attraverso l’espressione θ = R/q per i periodi appropriati (i.e. ‘t’ e ‘t+1’) sostituendo si ottiene che:
θt + yθt – 1 = θt+1(1 + x) (oppure) θt(1 + y) – 1 = θt+1(1 + x)
Il passo successivo è crivere θt+1 = θt + Δθt. Se assumiamo che Δθ è piccolo e quindi che xΔθt → 0, otteniamo dopo qualche manipolazione che
Δθ = θt(y – x) – 1.
Ci domandiamo ora che cosa è richiesto perché Δθ sia maggiore di zero, ovvero perché le riserve crescano in comparazione all’output. La risposta è che dobbiamo avere (y – x) > 1/θt. Per spiegare la situazione, rifacciamoci all’esempio precedente. Per il quinto anno, avevamo θt = 10, qt = 15, e Rt = 150. In aggiunta, prendiamo x = 0 (ovvero supponiamo la produzione rimanga costante), ma che y = 5% (crescita delle riserve). In questo caso, potremmo concludere che θ cresce o rimane costante, ma questo non è vero. Con questi numeri, otteniamo che Rt+1 = 150 + 7.5 – 15 = 142.5, dove 7.5 è l’aumento delle riserve nel periodo ‘t’. Ma se q rimane a 15, θt = 9.5. Troviamo che per avere una crescita delle riserve, dobbiamo avere θ > 1/(y – x ) = 1/ 0.05 – 0) = 20. Messa in un altro modo, se θ = 10 all’inizio dell’esame della situazione (= 150/15), allora perché θ possa aumentare, le riserve devono crescere oltre il 10%. (Nota di UB: il significato di questo ragionamento è che le riserve devono aumentare sempre a un ritmo superiore a quello della produzione. Per esempio, nella situazione mondiale attuale R/q ≈ 40, x≈ 0.02. Ne consegue che è necessario che y ≥ 0.04. Ovvero, siamo costretti a mantenere una crescita delle riserve provate di circa il 4% all’anno per mantenere l’attuale ritmo di crescita della produzione. Se questo ritmo scende sotto il 4% saremo costretti a ridurre il tasso di crescita, se scende sotto il 2.5% la produzione non potrà più aumentare)
Qui, vorrei notare come la comprensione di questa storia non richiede capacità matematiche superiori a quelle che si possono ottenere nei primi due anni della scuola media, anche considerando scuole del tipo che io stesso ho frequentato del “great South Side” di Chicago. Evidentemente, tuttavia, cìè un numero imprecisato di persone che prendono decisioni, gente che dice e fa cose, celebrità politiche, persone bene intenzionate o che comunque seguono la corrente, che ci vogliono far credere che c’è più petrolio accessibile nella crosta terrestre di quello che è in effetti il caso. Per quale ragione? Beh, tutti sapete, come lo so io, che quando si parla di petrolio, fra l’abisso fra la “verità vera” e la “verità di Hollywood”, esistono spesso molte meravigliose opportunità per gente che traffica con le varie categorie di disinformazione con lo scopo di arricchire le loro vite sia spiritualmente che materialmente, e magari anche in altri modi.