La Maledizione di Cassandra
Questo articolo discute l'affidabilità delle previsioni a lungo termine, soprattutto in relazione al problema dell'esaurimento delle risorse. Si trova che, nonostante le accuse ai catastrofisti e alle "Cassandre", molto spesso le previsioni del passato si sono rivelate sorprendentemente accurate. Quasi sempre, tuttavia, sono state ignorate, proprio come quelle di Cassandra. Per questa ragione, è probabile che anche gli avvertimenti recenti di una scarsità di petrolio imminente potrebbero essere ignorati e questo potrebbe causarci grossi problemi in un futuro non lontano.
La Maledizione di Cassandra: Le predizioni Ignorate.
Di Ugo Bardi, Giugno 2005
www.aspoitalia.it
Chi si occupa di un argomento delicato come il progressivo esaurimento delle risorse petrolifere, si accorge presto di quanta diplomazia ci voglia per parlarne con persone non preparate a ricevere notizie non proprio rassicuranti. Nei dibattiti ci si trova a volte di fronte a reazioni che possiamo definire scomposte per non dir di peggio. A parte l’accusa comune di essere dei “catastrofisti”, capita alle volte di essere definiti delle “Cassandre” in senso dispregiativo. Il ragionamento che accompagna queste accuse è, più o meno, “tanti catastrofisti avevano già previsto la fine del mondo, e poi non c’è stata.” Seguono sorrisetti, come a dire, “stavolta non ci caschiamo.” Pochi, sembrerebbe, si ricordano che chi aveva ignorato le profezie di Cassandra non ne aveva avuto altro che guai e danni (per esempio, i Troiani che avevano ignorato i suoi avvertimenti riguardo al cavallo di Troia). In effetti, l’analogia con l’antica Cassandra potrebbe essere molto più calzante di quanto quelli che usano il termine come un insulto si rendano conto.
Ma chi erano questi catastrofisti – queste moderne Cassandre – che avrebbero previsto, a torto, la fine del mondo a più riprese? Quando hanno fatto queste previsioni? Ed erano veramente previsioni così sbagliate? Se facciamo questa domanda a uno degli oppositori in un dibattito, e facile che arrivi la risposta, “ma lo sanno tutti!” seguita a volte da qualche accidente. Nel caso, invece, che l’oppositore sia una persona perlomeno moderatamente articolata, è probabile che citi le predizioni del Club di Roma del 1972, quelle del famoso libro “I Limiti dello Sviluppo”. Eh, già. Lo sanno tutti che il Club di Roma aveva clamorosamente sbagliato le predizioni, non è vero? Ovvero, così ho sentito dire, sicuro, l’ho letto da qualche parte..... dove? Mah, ora non mi ricordo, mi pare in qualche libro, ma di chi era.....?
La storia delle predizioni “sbagliate” del Club di Roma è, in effetti, affascinante come illustrazione dei limiti della mente umana e della nostra incapacità di ragionare in termini quantitativi su tempi lunghi. La nostra memoria ci gioca dei bruttissimi scherzi, ci fa ricordare cose che non erano e ci fa dimenticare le cose come stavano. Qualcosa di simile succedeva probabilmente con la povera Cassandra, e questo è quello che è successo con le predizioni del Club di Roma. Vediamo ora come sono andate le cose veramente.
Per prima cosa, ritorniamo allo studio originale che apparve per la prima volta nel 1972 negli Stati Uniti con il titolo “The Limits of Growth”, ovvero “i limiti alla crescita” che fu impropriamente tradotto come “I Limiti dello Sviluppo”. L’edizione italiana, apparsa nello stesso anno, comprende 159 pagine, oltre 50 figure e un buon numero di tabelle. Nella massa di dati, troviamo discussioni di varie ipotesi sul futuro del mondo. Si provano i parametri, si fanno delle ipotesi di vario genere, a volte pessimistiche, molto più spesso ottimistiche. Fra tutti questi scenari, possiamo estrarre come rappresentativo quello che gli autori chiamano il “modello base”, ovvero quello che secondo loro rappresentava meglio l’evoluzione delle tendenze note a quel tempo.
Il diagramma del “modello base” si trova a pagina 103 dell’edizione italiana e anche, a dimostrazione della sua importanza, sulla copertina. Quella qui mostrata è una scansione dalla copertina originale. Questo grafico è interessante, fra le altre cose, per notare i limiti della tecnologia dell’epoca. Il meglio che potevano fare per mostrare le curve calcolate era di stampare lettere sul foglio di una stampante di solo testo. Le curve sono state poi tracciate a mano unendo i simboli stampati.
Cosa vediamo in questo grafico? Limitiamoci per ora a tre curve: alimenti (curva marrone), popolazione (curva viola) e prodotto industriale (curva verde). Il crollo della produzione industriale e alimentare era previsto, ma non prima del 2010! Oggi siamo nel 2005, evidentemente non si può ancora dire se la previsione era giusta o no. Notiamo, incidentalmente, che gli scienziati del club di Roma non si erano mai proposti di fare un'unica predizione precisa, ma piuttosto di produrre un ventaglio di scenari possibili secondo diverse ipotesi. Così, ci sono altri cinque diagrammi nel libro che descrivono futuri possibili. Tutti sono più ottimistici del "modello base" e prevedono il crollo parecchi anni dopo la data prevista dal modello base. Allora, perché da più di un decennio tutti parlano delle “previsioni sbagliate del Club di Roma?”
Per approfondire un po’ la questione, vediamo come gli scienziati del MIT stessi abbiano seguito l’evoluzione del loro modello. L’ultima edizione dei “Limiti alla Crescita” è del 2004 e riporta lo stesso modello base – ovvero il modello più probabile – aggiornato con i dati recenti. Esaminando i due grafici fatti a più di trenta anni di distanza vediamo che i massimi per la produzione industriale (industrial output) e per la produzione alimentare (food) sono rimasti quasi invariati. Dal 1972 al 2004, il mondo ha seguito quasi esattamente il modello del Club di Roma. Gli stessi autori della revisione del 2004 riportano che il loro modello del 1972 è risultato “sorprendentemente accurato”.
Cosa vediamo in questo grafico? Limitiamoci per ora a tre curve: alimenti (curva marrone), popolazione (curva viola) e prodotto industriale (curva verde). Il crollo della produzione industriale e alimentare era previsto, ma non prima del 2010! Oggi siamo nel 2005, evidentemente non si può ancora dire se la previsione era giusta o no. Notiamo, incidentalmente, che gli scienziati del club di Roma non si erano mai proposti di fare un'unica predizione precisa, ma piuttosto di produrre un ventaglio di scenari possibili secondo diverse ipotesi. Così, ci sono altri cinque diagrammi nel libro che descrivono futuri possibili. Tutti sono più ottimistici del "modello base" e prevedono il crollo parecchi anni dopo la data prevista dal modello base. Allora, perché da più di un decennio tutti parlano delle “previsioni sbagliate del Club di Roma?”
Per approfondire un po’ la questione, vediamo come gli scienziati del MIT stessi abbiano seguito l’evoluzione del loro modello. L’ultima edizione dei “Limiti alla Crescita” è del 2004 e riporta lo stesso modello base – ovvero il modello più probabile – aggiornato con i dati recenti. Esaminando i due grafici fatti a più di trenta anni di distanza vediamo che i massimi per la produzione industriale (industrial output) e per la produzione alimentare (food) sono rimasti quasi invariati. Dal 1972 al 2004, il mondo ha seguito quasi esattamente il modello del Club di Roma. Gli stessi autori della revisione del 2004 riportano che il loro modello del 1972 è risultato “sorprendentemente accurato”.
Guardando bene, troveremo che i massimi per il modello del 2004 sono spostati di qualche anno nel futuro rispetto al modello del 1972. Tutti i modelli sono approssimati e questo cambiamento è parte di un aggiustamento del tiro via via che il modello si adatta alla realtà. Semmai, notiamo un cambiamento abbastanza importante nella curva della popolazione. Dal 1972 a oggi, in effetti, la fertilità umana ha subito una drastica riduzione per motivi tuttora non chiari, un’evoluzione che non era prevedibile negli anni 1970. Nel 1972, il Club di Roma prevedeva un massimo nella popolazione intorno ai 9 miliardi di persone, oggi la previsione si è ridotta a circa 7-8 miliardi. Anche qui, il picco della popolazione dovrebbe verificarsi verso il 2030, e nel 2005 non si può certamente accusare il Club di Roma di aver “sbagliato le predizioni”.
E’ possibile che gli scienziati del MIT abbiano azzeccato la loro predizione di eventi che si sarebbero verificati a 40 anni nel futuro? Lo sapremo con certezza fra qualche anno, ma non ci sarebbe da stupirsi. Più di una volta è stato dimostrato che è possibile fare delle predizioni a lunga scadenza usando dei modelli molto semplici. Guardate, per esempio, questa figura ad opera di Cesare Marchetti (pubblicata dalla IIASA nel 1984).
La predizione è basata su un modello molto semplice, detto “logistico” che che da risultati sotto certi aspetti abbastanza simili a quelli dei modelli di tipo di “dinamica dei sistemi” usati dal gruppo del MIT/Club di Roma. Qui, vediamo la produzione mondiale di legno (wood), carbone (coal), petrolio (oil) e gas naturale (Nat-Gas). Tutte le curve seguono con buona precisione lo stesso tipo di funzioni, appunto delle logistiche. Il modello ha dei limiti, e va detto che negli ultimi 20 anni le curve di produzione hanno deviato dalle semplici curve di Marchetti. Tuttavia, è impressionante notare come per oltre cento anni il modello abbia funzionato benissimo. Marchetti stesso fa notare che per ottenere le curve complete bastano dei set di dati molto ridotti. Già nel 1870 si sarebbe potuto prevedere quale sarebbe stata la produzione di carbone o legna nel 1970, cento anni dopo.
L’esempio qui sopra non è l’unico, vediamo qui una famosa predizione a lungo termine che si è sostanzialmente verificata, quella del geologo americano M.K. Hubbert che nel 1956 aveva descritto l’estrazione del petrolio dagli stati centrali americani con una curva non molto diversa da quelle usate dal MIT. Hubbert prevedeva che la produzione di petrolio statunitense avrebbe raggiunto un massimo fra il 1968 e il 1971. Delle due predizioni di Hubbert, quella del 1971 è quella che si verificò effettivamente.
La predizione di Hubbert non era nè un miracolo nè una magia e, per correttezza, va detto che le sue previsioni sull’esaurimento del gas naturale si sono rivelate molto meno corrette di quella sull’esaurimento del petrolio. E’ importante, tuttavia, il fatto che Hubbert abbia dimostrato che è possibile fare delle previsioni a lungo termine con una discreta – e in questo caso ottima – approssimazione.
La predizione di Hubbert non era nè un miracolo nè una magia e, per correttezza, va detto che le sue previsioni sull’esaurimento del gas naturale si sono rivelate molto meno corrette di quella sull’esaurimento del petrolio. E’ importante, tuttavia, il fatto che Hubbert abbia dimostrato che è possibile fare delle previsioni a lungo termine con una discreta – e in questo caso ottima – approssimazione.
La storia delle predizioni a lungo termine potrebbe continuare a lungo. Per esempio, lo studio commissionato dal presidente Carter nel 1979 dal titolo “The Global 2000 Report” si è rivelato abbastanza accurato. Ha subito però lo stesso destino di quello del Club di Roma, ovvero di essere ignorato, oppure attaccato da gente che non lo aveva mai letto. Occasionalmente, invece, qualcuno, anche con buone credenziali scientifiche, ha lanciato ipotesi troppo pessimistiche che non si sono avverate. Questo è il caso del libro “La bomba della popolazione” scritto dal biologo Paul Ehrlich nel 1968. Se andassimo poi a cercare nella stampa popolare, è probabile che troveremmo un buon numero di profezie di sventura sparate a casaccio, come l’arrivo dei dischi volanti, la seconda venuta, l’anticristo e cose del genere. In generale, tuttavia, se consideriamo predizioni scientifiche basate su dati e modelli quantitativi vediamo che si sono rivelate molto spesso accurate, posto che non si chieda ai modelli di essere delle divine profezie e che li si prendano come approssimazioni da migliorare via via che il tempo scorre.
Tuttavia, non sembra che molta gente si sia resa conto del potenziale di questo tipo di predizioni. Al contrario, come si diceva prima, il lavoro del club di Roma è stato insultato e vilipeso da chiunque avesse la capacita di premere i tasti di una tastiera in modo da formare parole approssimativamente intelligibili. L’opera di Marchetti è poco nota al pubblico e, quanto a Hubbert, il suo modello fu denigrato al momento in cui fu proposto e si è continuato a denigrarlo anche dopo che si è rivelato giusto.
Questa tendenza a denigrare le predizioni pessimistiche la possiamo chiamare “effetto Cassandra”. Per capire il meccanismo psicologico che porta a questo effetto, vediamo di esaminare in un certo dettaglio che cosa è successo con il libro del club di Roma. Quando fu presentato, nel 1972 negli Stati Uniti, “I Limiti alla Crescita” ebbe un successo fenomenale con milioni di copie vendute e traduzioni in 30 lingue. Come è ovvio, ci furono anche delle critiche, inizialmente il dibattito rimase a livello accademico ma poi finì per degenerare a una pura serie di insulti nei riguardi del club di Roma di cui si potrebbero facilmente trovare moltissimi esempi. Ci limitiamo qui a citarne uno, quando in un intervista rilasciata nel 1995 il premio Nobel Milton Friedman non esitò a definire “stupide” le predizioni del club di Roma, come se fosse cosa così ovvia da non meritare una giustificazione.
Ma come era possibile dire che il club di Roma aveva “sbagliato le predizioni” quando queste predizioni erano per un futuro ancora lontano? Quasi sempre, non si trattava di critiche specifiche, ma piuttosto di critiche molto generiche in cui si accusava il club di Roma di non aver considerato entità quali l’ “ingegno umano” che avrebbero potuto rimediare alla carenza di risorse. Alcuni, invce, hanno usato tecniche di tipo propagandistico che consistevano (come in generale nella propaganda) nell’isolare elementi del ragionamento dell’avversario e presentarli fuori dal contesto per poi demolirli. Così, troviamo in un articolo del 1992 di William Nordhaus un'appendice ad opera di Robert Stavins dove forse per la prima volta si menzionavano i dati di una specifica colonna di una tabella, presentandoli come "prova" che il club di Roma aveva previsto una catastrofe che poi non era avvenuta. Questa tabella si trova a pagina 52 e 54 dell’edizione italiana e chiunque può verificare che i dati sono li’ a solo scopo illustrativo, un “cosa succederebbe se” che gli autori stessi definiscono un modello non realistico a pagina 57. Ancora oggi, tuttavia, nel 2005, si continua a citare la stessa serie di dati come “prova” degli errori del club di Roma.
Può sembrare strano che queste critiche, così generiche o semplicemente sbagliate, abbiano avuto l'effetto da dare una cattiva fama al lavoro del club di Roma agli occhi di praticamente tutto il mondo. E’ probabile che questo non sia tanto il risultato di una particolare abilità dei critici, ma da un effetto psicologico perverso correlato alle grandi crisi del petrolio degli anni 1970. Per spiegare questo effetto, andiamo a riesaminare i dati dei prezzi del petrolio nell’arco di una settantina di anni.
(dati: ASPO).
Tuttavia, non sembra che molta gente si sia resa conto del potenziale di questo tipo di predizioni. Al contrario, come si diceva prima, il lavoro del club di Roma è stato insultato e vilipeso da chiunque avesse la capacita di premere i tasti di una tastiera in modo da formare parole approssimativamente intelligibili. L’opera di Marchetti è poco nota al pubblico e, quanto a Hubbert, il suo modello fu denigrato al momento in cui fu proposto e si è continuato a denigrarlo anche dopo che si è rivelato giusto.
Questa tendenza a denigrare le predizioni pessimistiche la possiamo chiamare “effetto Cassandra”. Per capire il meccanismo psicologico che porta a questo effetto, vediamo di esaminare in un certo dettaglio che cosa è successo con il libro del club di Roma. Quando fu presentato, nel 1972 negli Stati Uniti, “I Limiti alla Crescita” ebbe un successo fenomenale con milioni di copie vendute e traduzioni in 30 lingue. Come è ovvio, ci furono anche delle critiche, inizialmente il dibattito rimase a livello accademico ma poi finì per degenerare a una pura serie di insulti nei riguardi del club di Roma di cui si potrebbero facilmente trovare moltissimi esempi. Ci limitiamo qui a citarne uno, quando in un intervista rilasciata nel 1995 il premio Nobel Milton Friedman non esitò a definire “stupide” le predizioni del club di Roma, come se fosse cosa così ovvia da non meritare una giustificazione.
Ma come era possibile dire che il club di Roma aveva “sbagliato le predizioni” quando queste predizioni erano per un futuro ancora lontano? Quasi sempre, non si trattava di critiche specifiche, ma piuttosto di critiche molto generiche in cui si accusava il club di Roma di non aver considerato entità quali l’ “ingegno umano” che avrebbero potuto rimediare alla carenza di risorse. Alcuni, invce, hanno usato tecniche di tipo propagandistico che consistevano (come in generale nella propaganda) nell’isolare elementi del ragionamento dell’avversario e presentarli fuori dal contesto per poi demolirli. Così, troviamo in un articolo del 1992 di William Nordhaus un'appendice ad opera di Robert Stavins dove forse per la prima volta si menzionavano i dati di una specifica colonna di una tabella, presentandoli come "prova" che il club di Roma aveva previsto una catastrofe che poi non era avvenuta. Questa tabella si trova a pagina 52 e 54 dell’edizione italiana e chiunque può verificare che i dati sono li’ a solo scopo illustrativo, un “cosa succederebbe se” che gli autori stessi definiscono un modello non realistico a pagina 57. Ancora oggi, tuttavia, nel 2005, si continua a citare la stessa serie di dati come “prova” degli errori del club di Roma.
Può sembrare strano che queste critiche, così generiche o semplicemente sbagliate, abbiano avuto l'effetto da dare una cattiva fama al lavoro del club di Roma agli occhi di praticamente tutto il mondo. E’ probabile che questo non sia tanto il risultato di una particolare abilità dei critici, ma da un effetto psicologico perverso correlato alle grandi crisi del petrolio degli anni 1970. Per spiegare questo effetto, andiamo a riesaminare i dati dei prezzi del petrolio nell’arco di una settantina di anni.
(dati: ASPO).
La grande crisi del petrolio degli anni 1970 è oggi quasi dimenticata, ma all’epoca fu quasi una catastrofe. Inflazione a due cifre, disoccupazione, recessione, impoverimento generale. Tutto questo fu causato dall’aumento dei prezzi del petrolio che in qualche anno raggiunsero il livello di circa 80 dollari (odierni) al barile, ovvero quasi 60 Euro al barile, contro il livello che era stato normale fino ad allora di circa 10-15 dollari (odierni) al barile.
Sappiamo oggi che la grande crisi fu il risultato di un periodo di adattamento. Il declino della produzione dei giacimenti americani (quello previsto da Hubbert) ebbe come effetto la necessità di spostare il baricentro della produzione mondiale al Medio Oriente, dove i giacimenti erano ancora abbondanti. Per questo, tuttavia, fu necessario creare tutta una rete di nuove infrastrutture (petroliere, raffinerie, ecc.) e questo richiese grandi investimenti. Questi investimenti furono pagati, essenzialmente, con i profitti ottenuti con gli alti prezzi. Verso il 1985, le nuove infrastrutture erano pronte e, fra le altre cose, cominciavano ad entrare in produzione anche i pozzi del mare del nord. A questo punto, i prezzi del petrolio potevano riabbassarsi, anche se non ritornarono mai al livello di prima della crisi.
Durante la crisi, tuttavia, questi fatti non erano evidenti. L’effetto era psicologico: la nostra percezione dell’abbondanza di qualcosa dipende dal suo prezzo, il che è spesso il caso. Il caviale, per esempio, ci sembra più raro delle acciughe, e lo è. Al contrario, il petrolio degli anni 80 non era (ancora) raro, ma il suo prezzo molto alto ce lo fece sembrare raro e prezioso. Si sapeva benissimo anche a quel tempo che le riserve di petrolio estraibili erano ancora molto abbondanti, ma l’impressione di “fine del mondo” era inevitabile, e molti la presero in questi termini.
A questo punto, si ingenerava un meccanismo perverso. Molti avevano letto il libro del Club di Roma del 1972 e si ricordavano la predizione che in qualche momento “nel futuro” ci sarebbe stata una catastrofe dovuta alla carenza di materie prime. Quando, nel 1979, i prezzi del petrolio schizzarono a livelli stratosferici, portandosi dietro i prezzi di quasi tutte le altre materie prime, sembrò che le predizioni del Club di Roma si stessero avverando. Non era così, e sarebbe bastato andare a rileggersi il libro per ricordarsi che le predizioni parlavano di qualcosa che era ancora trent’anni nel futuro. Evidentemente, ben pochi lo fecero.
Ancora più importante fu l’effetto psicologico della fine della crisi, dal 1985 in poi. A questo punto, si pensò, ovviamente, che la crisi del 1979 era stata un falso allarme. Se quella che abbiamo passato era la crisi prevista dal club di Roma, si disse, il fatto che sia finita implica che il Club di Roma si era sbagliato completamente. Al contrario, il fatto che la crisi si fosse rivelata temporanea era la prova che il Club di Roma aveva avuto ragione! Ma, purtroppo, l'effetto perverso delle crisi del petrolio è rimasto predominante nel giudizio che si da sul lavoro del Club di Roma da almeno 20 anni a questa parte.
Può anche darsi, tuttavia, che non ci sarebbe stato nemmeno bisogno dell’effetto perverso della crisi del petrolio per mandare al dimenticatoio le tesi del club di Roma. In effetti, ripensiamo all’anno 1972, quando fu pubblicato il primo studio. Ammesso che chi lo leggeva ritenesse valida la predizione, che cosa avrebbe potuto fare per scongiurare una crisi che si sarebbe dovuta verificare 40 anni dopo? Certo, gli autori stessi elencavano una serie di misure che secondo loro sarebbero state necessarie, ridurre il tasso di crescita, migliorare l’efficienza del sistema economico, ridurre la pressione demografica. Il problema è che non esiste nessuna struttura pubblica o privata che sia in grado di operare in una prospettiva di quattro decenni nel futuro. Del resto, non ne esiste nessuna che possa operare anche in prospettive molto più brevi, un decennio o anche meno.
Questo è il nocciolo dell’ “Effetto Cassandra.” Comunque venga presentata, una previsione a lungo termine fallisce per mancanza di una struttura che sia in grado di agire di conseguenza. Fra quelli che sarebbero in grado, in principio, di prendere decisioni o spingere perché se ne prendano, i politici pensano alle prossime elezioni, i manager ai profitti di fine anno, i giornalisti sono sempre alla ricerca della storia sensazionale, i semplici cittadini sbarcano la giornata come possono. Nessuno è in grado o vuole veramente lavorare su una prospettiva di parecchi decenni nel futuro.
Oggi, tuttavia, il futuro è alle porte. I più recenti studi del gruppo dell’Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio (ASPO) indicano che il massimo della produzione della materia prima più importante che abbiamo, potrebbe verificarsi entro pochi anni. Questo grafico opera di Colin Campbell (ASPO) riassume le previsioni:
Sappiamo oggi che la grande crisi fu il risultato di un periodo di adattamento. Il declino della produzione dei giacimenti americani (quello previsto da Hubbert) ebbe come effetto la necessità di spostare il baricentro della produzione mondiale al Medio Oriente, dove i giacimenti erano ancora abbondanti. Per questo, tuttavia, fu necessario creare tutta una rete di nuove infrastrutture (petroliere, raffinerie, ecc.) e questo richiese grandi investimenti. Questi investimenti furono pagati, essenzialmente, con i profitti ottenuti con gli alti prezzi. Verso il 1985, le nuove infrastrutture erano pronte e, fra le altre cose, cominciavano ad entrare in produzione anche i pozzi del mare del nord. A questo punto, i prezzi del petrolio potevano riabbassarsi, anche se non ritornarono mai al livello di prima della crisi.
Durante la crisi, tuttavia, questi fatti non erano evidenti. L’effetto era psicologico: la nostra percezione dell’abbondanza di qualcosa dipende dal suo prezzo, il che è spesso il caso. Il caviale, per esempio, ci sembra più raro delle acciughe, e lo è. Al contrario, il petrolio degli anni 80 non era (ancora) raro, ma il suo prezzo molto alto ce lo fece sembrare raro e prezioso. Si sapeva benissimo anche a quel tempo che le riserve di petrolio estraibili erano ancora molto abbondanti, ma l’impressione di “fine del mondo” era inevitabile, e molti la presero in questi termini.
A questo punto, si ingenerava un meccanismo perverso. Molti avevano letto il libro del Club di Roma del 1972 e si ricordavano la predizione che in qualche momento “nel futuro” ci sarebbe stata una catastrofe dovuta alla carenza di materie prime. Quando, nel 1979, i prezzi del petrolio schizzarono a livelli stratosferici, portandosi dietro i prezzi di quasi tutte le altre materie prime, sembrò che le predizioni del Club di Roma si stessero avverando. Non era così, e sarebbe bastato andare a rileggersi il libro per ricordarsi che le predizioni parlavano di qualcosa che era ancora trent’anni nel futuro. Evidentemente, ben pochi lo fecero.
Ancora più importante fu l’effetto psicologico della fine della crisi, dal 1985 in poi. A questo punto, si pensò, ovviamente, che la crisi del 1979 era stata un falso allarme. Se quella che abbiamo passato era la crisi prevista dal club di Roma, si disse, il fatto che sia finita implica che il Club di Roma si era sbagliato completamente. Al contrario, il fatto che la crisi si fosse rivelata temporanea era la prova che il Club di Roma aveva avuto ragione! Ma, purtroppo, l'effetto perverso delle crisi del petrolio è rimasto predominante nel giudizio che si da sul lavoro del Club di Roma da almeno 20 anni a questa parte.
Può anche darsi, tuttavia, che non ci sarebbe stato nemmeno bisogno dell’effetto perverso della crisi del petrolio per mandare al dimenticatoio le tesi del club di Roma. In effetti, ripensiamo all’anno 1972, quando fu pubblicato il primo studio. Ammesso che chi lo leggeva ritenesse valida la predizione, che cosa avrebbe potuto fare per scongiurare una crisi che si sarebbe dovuta verificare 40 anni dopo? Certo, gli autori stessi elencavano una serie di misure che secondo loro sarebbero state necessarie, ridurre il tasso di crescita, migliorare l’efficienza del sistema economico, ridurre la pressione demografica. Il problema è che non esiste nessuna struttura pubblica o privata che sia in grado di operare in una prospettiva di quattro decenni nel futuro. Del resto, non ne esiste nessuna che possa operare anche in prospettive molto più brevi, un decennio o anche meno.
Questo è il nocciolo dell’ “Effetto Cassandra.” Comunque venga presentata, una previsione a lungo termine fallisce per mancanza di una struttura che sia in grado di agire di conseguenza. Fra quelli che sarebbero in grado, in principio, di prendere decisioni o spingere perché se ne prendano, i politici pensano alle prossime elezioni, i manager ai profitti di fine anno, i giornalisti sono sempre alla ricerca della storia sensazionale, i semplici cittadini sbarcano la giornata come possono. Nessuno è in grado o vuole veramente lavorare su una prospettiva di parecchi decenni nel futuro.
Oggi, tuttavia, il futuro è alle porte. I più recenti studi del gruppo dell’Associazione per lo Studio del Picco del Petrolio (ASPO) indicano che il massimo della produzione della materia prima più importante che abbiamo, potrebbe verificarsi entro pochi anni. Questo grafico opera di Colin Campbell (ASPO) riassume le previsioni:
Abbiamo una previsione di un declino che dovrebbe iniziare entro pochi anni. Evidentemente, qui non si può più parlare di “effetto Cassandra” dovuto al fatto di fare previsioni a lunga scadenza nè è pensabile di demolire la teoria con vari trucchetti propagandistici, come è stato fatto con il Club di Roma. Neppure, ci sarà il tempo di dimenticarsi della predizione e di arrivare alla conclusione che, se nulla è successo finora, forse non succederà mai niente.
Quando ci accorgeremo che la discesa è cominciata, faremo certamente tutto il possibile per invertire la tendenza. Non che ci manchino buone tecnologie per sostituire il petrolio, ma è probabile che non avremo abbastanza tempo per metterle in azione. Su questo punto, c’è stato uno studio recente commissionato dal Department of Energy (DOE). E’ uno studio molto “con i piedi per terra” come si dice. Non assume nessun miracolo, ma che ci si metta a lavorare con le tecnologie esistenti per produrre liquidi equivalenti al petrolio partendo da carbone, oli pesanti e cose del genere. I risultati dello studio sono inequivocabili. A meno che non si parta almeno 20 anni prima del picco, non ce la potremo fare a compensare la diminuzione della produzione di petrolio. Purtroppo, come abbiamo visto, non esiste un meccanismo che ci consenta di partire con un programma del genere a 20 anni di distanza.
La maledizione di Cassandra, dunque, è la base del comportamento umano. Non riusciamo a prendere provvedimenti verso un problema finché non diventa veramente grave. Non sappiamo dove ci porterà questa incapacità di fare fronte al futuro, che pure è prevedibile entro certi limiti. Possiamo solo sperare che quelli negano l'esistenza di qualsiasi problema vadano a rileggersi i libri di mitologia per rendersi conto che Cassandra, ai suoi tempi, aveva sempre avuto ragione.
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Cassandra, la “più bella figlia del re Priamo”, come ce la descrive Omero nell’ “Iliade,” ebbe il dono della profezia dal dio Apollo. Quando Cassandra rifiutò le sue offerte di amore, Apollo aggiunse al dono una maledizione: che le profezie di Cassandra non sarebbero mai state credute. Cassandra profetizzò più di una volta la caduta di Troia e tentò invano di convincere i Troiani a non accogliere entro le mura il cavallo che conteneva i guerrieri Greci. Dopo la caduta di Troia, cercò rifugio nel tempio di Atena, ma ne fu trascinata fuori a forza dal greco Aiace che, alcuni dicono, la violentò. Portata a MIcene come concubina di Agamennone, fu uccisa a colpi d’ascia dalla moglie di lui, Clitemnestra. Storia cupa e tragica di un mondo violento e senza misericordia ma che, in fondo, in questo non era poi tanto peggiore del nostro
Quando ci accorgeremo che la discesa è cominciata, faremo certamente tutto il possibile per invertire la tendenza. Non che ci manchino buone tecnologie per sostituire il petrolio, ma è probabile che non avremo abbastanza tempo per metterle in azione. Su questo punto, c’è stato uno studio recente commissionato dal Department of Energy (DOE). E’ uno studio molto “con i piedi per terra” come si dice. Non assume nessun miracolo, ma che ci si metta a lavorare con le tecnologie esistenti per produrre liquidi equivalenti al petrolio partendo da carbone, oli pesanti e cose del genere. I risultati dello studio sono inequivocabili. A meno che non si parta almeno 20 anni prima del picco, non ce la potremo fare a compensare la diminuzione della produzione di petrolio. Purtroppo, come abbiamo visto, non esiste un meccanismo che ci consenta di partire con un programma del genere a 20 anni di distanza.
La maledizione di Cassandra, dunque, è la base del comportamento umano. Non riusciamo a prendere provvedimenti verso un problema finché non diventa veramente grave. Non sappiamo dove ci porterà questa incapacità di fare fronte al futuro, che pure è prevedibile entro certi limiti. Possiamo solo sperare che quelli negano l'esistenza di qualsiasi problema vadano a rileggersi i libri di mitologia per rendersi conto che Cassandra, ai suoi tempi, aveva sempre avuto ragione.
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Cassandra, la “più bella figlia del re Priamo”, come ce la descrive Omero nell’ “Iliade,” ebbe il dono della profezia dal dio Apollo. Quando Cassandra rifiutò le sue offerte di amore, Apollo aggiunse al dono una maledizione: che le profezie di Cassandra non sarebbero mai state credute. Cassandra profetizzò più di una volta la caduta di Troia e tentò invano di convincere i Troiani a non accogliere entro le mura il cavallo che conteneva i guerrieri Greci. Dopo la caduta di Troia, cercò rifugio nel tempio di Atena, ma ne fu trascinata fuori a forza dal greco Aiace che, alcuni dicono, la violentò. Portata a MIcene come concubina di Agamennone, fu uccisa a colpi d’ascia dalla moglie di lui, Clitemnestra. Storia cupa e tragica di un mondo violento e senza misericordia ma che, in fondo, in questo non era poi tanto peggiore del nostro