Sistemi Solari Termoelettrici. Alcune Considerazioni Tecniche per l'Applicazione in Italia
Breve descrizione
I sistemi solari per la produzione di termoelettricità possono essere raggruppati concettualmente in due grandi categorie rispetto al modo di raccogliere e concentrare la radiazione solare: centrali a fuoco puntiforme e centrali a fuoco lineare.
Nelle centrali a fuoco puntiforme i raggi solari vengono raccolti da superfici riflettenti che li concentrano tutti idealmente in un solo punto (in pratica in una piccola superficie) così da realizzare elevati valori della densità d’energia. In tal modo è possibile ottenere sulla superficie di raccolta calore con valori di temperatura tanto alti da poter alimentare un ciclo termodinamico per la conversione del calore in elettricità. Fanno parte di questa categoria gli impianti a specchi piani e ricevitore centrale a torre (CRS = Central Receiver Systems) e quelli a specchi parabolici a fuoco puntiforme (DCS = Distributed Collector Systems). Entrambi questi sistemi funzionano mediante dispositivi elettromeccanici per l’inseguimento della posizione apparente del sole su due assi in modo da mantenere gli specchi in posizione ortogonale ai raggi solari nell’intero corso della giornata.
Nelle centrali a fuoco lineare i raggi solari vengono raccolti da una superficie semicilindrica a sezione parabolica (detta anche paraboloide lineare) e convogliati lungo la linea che, in questo caso, rappresenta il fuoco. Il termine anglosassone di parabolic trough rende immediatamente l’idea della geometria di tali dispositivi in quanto trough può essere tradotto in truogolo, oggetto al quale gli specchi assomigliano. In questo caso i semicilindri, che possono avere anche lunghezze di centinaia di metri, sono allineati con l’asse principale posto lungo la direttrice est-ovest e fissati in tale posizione sul terreno. L’inseguimento della posizione del sole avviene solo sull’asse verticale.
Trattandosi in entrambi i casi di dispositivi ottici a focalizzazione d’immagine (il sole), essi sono sensibili soltanto al fascio di raggi solari paralleli che giungono ortogonali sull’area d’apertura degli specchi. Pertanto può essere concentrata nel fuoco soltanto la cosiddetta componente diretta della radiazione solare, mentre la luce diffusa, che ha provenienza anisotropa dal cielo, non viene catturata dagli specchi ed è perduta ai fini del bilancio energetico dei dispositivi.
Funzionamento in sintesi
Seguendo il flusso dell’energia nell’impianto, dalla radiazione solare in entrata all’energia elettrica in uscita dalla centrale, si possono distinguere 6 stadi logici di funzionamento disposti in cascata come in Fig.1.
Fig.1 – Rappresentazione schematica in blocchi di una centrale solare termoelettrica
Es è l’energia contenuta nella radiazione solare globale che incide sull’apertura degli specchi;
K è la frazione di energia contenuta nella componente diretta della radiazione, la sola utilizzabile dai sistemi ottici a concentrazione. [(1 - K) rappresenta la frazione di energia solare contenuta nella componente diffusa, persa ai fini della conversione termoelettrica];
Il blocco 1 rappresenta il sistema ottico di captazione della radiazione solare diretta e la sua concentrazione nel fuoco del sistema dove è collocato un opportuno ricevitore (caldaia);
Il blocco 2 rappresenta il sistema di conversione termica della radiazione concentrata e la sua raccolta in un fluido primario circolante nella caldaia, che convoglia il calore in un sistema di accumulo termico;
Il blocco 3 comprende il sistema di accumulo del calore e del suo rilascio in tempo differito mediante uno scambiatore termico verso un fluido secondario;
Il blocco 4 rappresenta il sistema di conversione termodinamica del calore trasportato dal fluido termico secondario al gruppo turbina-alternatore;
Nel blocco 5 sono raggruppate tutte le perdite di elettricità dovute all’autoalimentazione dei servizi della centrale (energia elettrica impiegata per comandare il sistema d’inseguimento, quella per alimentare le pompe di circolazione dei fluidi e quella utilizzata per non far scendere la temperatura del fluido primario al di sotto di una soglia di sicurezza, ecc.);
Eel è l’energia elettrica effettivamente erogata ai morsetti della centrale (energia venduta).
Allora sempre seguendo il flusso dell’energia, si avrà in uscita un valore di Eel pari a:
Eel = K η1 η2 η3 η4 η5 Es
(1)
Dove ui sono le rispettive efficienze di trasformazione dei vari blocchi logici.
Segue subito che l’efficienza di conversione totale della centrale è rappresentata da:
η = Eel / Es = K η1 η2 η3 η4 η5
(2)
Come si può vedere le ui rappresentano le efficienze tecniche dei vari sistemi, mentre K ha un significato collegato alla natura della radiazione solare e, pertanto, esso è rappresentativo del sito dove si va a collocare la centrale.
I sostenitori (quelli più faziosi) del solare termodinamico tendono a ignorare questo parametro e spesso danno l’efficienza totale dell’impianto riferendola soltanto alla componente diretta della radiazione solare. Il che equivale a considerare sempre K=1.
Mentre ciò non comporta errore nel calcolo economico, tuttavia tale metodo produce un valore d’efficienza disomogeneo con quello delle altre fonti e porta ad un valore numerico sistematicamente più alto. Avviene così che quando si fa il confronto di merito tecnico con le altre fonti rinnovabili, di solito basato sui valori dell’efficienza, si ottiene una valutazione errata, sbilanciata sistematicamente in favore del solare termodinamico. Poiché, come vedremo, K nella situazione italiana assume valori abbastanza più bassi di 1, tale parametro assume un’importanza decisiva nella scelta tra le opzioni praticabili.
Un po’ di storia
Senza risalire ad Archimede di Siracusa ed ai suoi specchi ustori, ci basta ricordare che negli anni ’80 furono realizzate le più significative centrali solari termodinamiche moderne, sia negli USA, sia in Europa ed in particolare in Italia (dove già negli anni ’60 e ’70 si era sperimentata questa tecnica nella centrale di Sant’Ilario, vicino a Genova, per opera del Prof. G. Francia).
Negli Usa, nel deserto della California a Barstow fu costruita, nei primi anni ’80, la centrale a specchi e torre centrale, detta Solar One, da 1 MW elettrico e non molto distante, a Kramer Junction, una serie di impianti a paraboloidi lineari che progressivamente raggiunse la potenza elettrica complessiva di 350 MW circa. Questi ultimi impianti sono ancora in funzione, mentre Solar One è stato modificato dopo 8 anni di funzionamento e trasformato in Solar Two avendo portato la potenza a 10 MW elettrici. Questa ultima centrale è tuttora in funzione.
In Europa furono realizzati i due impianti a torre centrale e specchi e a paraboloidi lineari ad Almeria in Spagna, la centrale solare termica Themis in Francia e quella a specchi piani e torre centrale, Eurelios, dell’Enel ad Adrano in Sicilia.
Rimandando per i dettagli al riferimento bibliografico 1, mi permetto qui una breve digressione. Mi importa sottolineare, in disaccordo con il prof. Rubbia, che il Progetto Archimede dell’ENEA non può sicuramente rivendicare la novità, né della tecnologia in generale, né del sistema o del mezzo di accumulo termico, perché tutto ciò fu ampiamente sperimentato negli anni ’80 e di ciò esiste ampia documentazione. Più in particolare la cosiddetta novità del Progetto Archimede dell’uso dei nitrati fusi come mezzo di accumulo del calore ad alta temperatura è stato sperimentato nella centrale Solar Two nei primi anni ’90 ed è ancora in funzione oggi.
Ciò detto per amore del vero, riassumiamo grossolanamente il risultato complessivo di 20 anni di sperimentazione. Prima di entrare nei particolari tecnici di dettaglio sul comportamento delle singole parti delle centrali, a noi importa notare il dato più significativo, che è l'efficienza totale cosiddetta annuale degli impianti.
La centrale Solar One ha concluso la sua vita facendo registrare un’efficienza media annuale pari all’incirca al 7.5% e la sua versione successiva improved “Solar Two” è arrivata a circa l’8.5%. In circa 10 anni di tentativi si è avuto l’aumento dell’efficienza di circa 1 punto.
La centrale a specchi di Almeria ha raggiunto con grande difficoltà sulla continuità del funzionamento un'efficienza di circa il 7% e poi l’esperimento è stato interrotto.
Notevolmente meglio sono andate le cose per le centrali a specchi paraboloidi lineari di Junction Kramer, che hanno fatto registrare efficienze medie intorno al 12%.
La centrale italiana Eurelios fu chiusa dopo circa 50 ore di funzionamento per la eccessiva frequenza dei guasti e non si è mai conosciuto il dato di efficienza. La centrale Themis francese aveva lo scopo di produrre soltanto calore di processo e non elettricità.
In parallelo a queste linee di sperimentazione di grande taglia, furono condotte esperienze di piccola taglia con i concentratori parabolici a fuoco puntiforme. In ciascuno di tali sistemi si trova collocato nel fuoco un gruppo di conversione basato su un gruppo di conversione costituito da un motore Stirling ed un alternatore. Questa linea di ricerca è quella che detiene il primato per l’efficienza di conversione istantanea, circa il 29%, mentre l’efficienza media annuale si attesta intorno al 12-14%. Attualmente questa tecnologia è quella che promette un vero break through mediante l’utilizzazione del nuovo concetto della concentrazione con sistemi ottici senza immagine (nonimaging optics), che dovrebbe permettere l’ottenimento di fattori di concentrazione dell’ordine di oltre 1000 volte.
Se si dovesse compendiare in un unico concetto il risultato della sperimentazione avvenuta negli ultimi 20 anni, occorrerebbe dire che in nessun caso si è raggiunta la competitività economica del costo di produzione del kWh essenzialmente a causa del basso valore ottenuto per l’efficienza in rapporto ai costi dell’impianto. Allo stesso modo, l’estrapolazione dei costi con lo scaling up delle dimensione delle centrali non porta alla competitività senza ipotizzare un consistente miglioramento dell’efficienza (e questo è estremamente difficile come vedremo presto). A titolo di esempio si può citare la proposta di progetto del DOE per la terza generazione della centrale a specchi del tipo Solar Two, in cui si afferma che si potrebbe raggiungere la competitività con un impianto che passasse dai 10 MW attuali ai 200 MW e che avesse un’efficienza media intorno al 20%. Come raggiungere tale valore non è sufficientemente chiarito sul piano tecnico, tanto è vero che la proposta è rimasta tale e non è stata finanziata.
Efficienza di conversione dell’impianto
Facendo riferimento alla relazione (2), si può andare a leggere i vari rapporti di attività delle centrali sperimentate e si può estrarre da essi il campo dei valori ottenuti nella pratica per i vari stadi di trasformazione dell’energia solare. Si trova una situazione di questo tipo rispettivamente per il caso peggiore e migliore:
Raccolta ottica degli specchi η1 = (0.8 ~ 0.9)
Raccolta termica fluido primario η2 = (0.5 ~ 0.6)
Accumulo termico (qualche ora) η3 = (0.7 ~ 0.8)
Gruppo conversione termoelettrica η4 = (0.25 ~ 0.30)
Autoconsumi di centrale η5 = (0.97 ~ 0.99)
In definitiva si ottiene che, nella pratica, la (2) assume un valore compreso nel seguente campo:
η = K (0.068 ~ 0.13)
(3)
Segue subito che se facciamo riferimento soltanto alla radiazione solare diretta (cioè K=1), l’efficienza sperimentale delle centrali solari termoelettriche di tecnologia attuale viene a trovarsi nel campo dei valori tra il 7 ed il 13%. L’esperienza attuale conferma questo dato.
Se invece volessimo confrontare tale efficienza con quella, ad esempio, di un impianto fotovoltaico di pari superficie captante, allora entrerebbe in gioco il parametro K, tipico del sito d’installazione. Ciò perché i moduli fotovoltaici sono sensibili anche alla componente diffusa della radiazione solare e quindi il confronto va fatto rispetto all’energia solare globale che cade sugli impianti. Il valore medio annuale di K può oscillare fra 0.5 e 0.9 a seconda che il sito si trovi in una regione nordica o in un deserto arido, come quello della California o del Sahara o del Neghev. In definitiva, pertanto, l’efficienza da prendere in considerazione per un confronto con il fotovoltaico si viene a trovare nel campo dei seguenti valori a seconda di dove si pensa di collocare i due tipi d’impianti:
(0.034 ~ 0.065) al Nord
η = K (0.068 ~ 0.13)
(4)
(0.061 ~ 0.12) nei deserti aridi
E’ chiaro che, se non ci fosse alcuna alternativa per produrre elettricità dal sole, si potrebbe pensare di andare a collocare una centrale a specchi anche nel Nord ed accontentarsi delle basse efficienze indicate nella (4). Poiché, però, oggi è disponibile la tecnologia fotovoltaica con cui è possibile ottenere nelle stesse condizioni d’insolazione efficienze medie intorno all’8-10%, si può concludere che, soltanto nel caso della collocazione nei deserti, la tecnologia del solare termoelettrico può essere conveniente. (Non a caso gli impianti oggi vengono installati in tali località).
Se, però, si guardano le cose in prospettiva, si può notare che il fotovoltaico ha un trend di miglioramento dell’efficienza in corso (moduli commerciali con efficienza del 15% sono già in vendita), mentre per il solare termoelettrico non si scorgono grandi cambiamenti all’orizzonte. Allora, è molto probabile che presto si abbia il sorpasso dell’efficienza da parte dei sistemi fotovoltaici anche nelle località desertiche. E’ quindi probabile che la tecnologia attuale delle centrali solari termoelettriche sia destinata a soccombere nel confronto generale con il fotovoltaico.
Diverso potrebbe essere il destino della tecnologia solare termodinamica per la produzione di calore di processo, perché in tal caso l’efficienza di trasformazione da radiazione solare ad energia termica ad alta temperatura mostra un’efficienza nel campo del 50-60%. Ma questo è un altro discorso.
Il solare termoelettrico nei siti italiani
L’Italia ha un’estensione notevole da Nord a Sud ed il suo territorio possiede caratteristiche orografiche molto accidentate. Pertanto, il parametro K mostra nel nostro Paese una relativa variabilità, dovuta sia alla latitudine, sia ai microclimi locali. In generale i valori medi annuali di K si vengono a trovare tra 0.5 per il Nord Italia e 0.75 per le località più aride del Sud. La spiegazione della presenza di una considerevole componente diffusa della radiazione solare anche nel Sud si trova nel fatto che le località più assolate stanno vicino al mare, dove il vapore d’acqua contribuisce fortemente a velare il sole. Ad esempio, l’insolazione massima globale si trova in Sicilia, presso Trapani e Marsala, dove comunque K assume il valore medio più favorevole di 0.70-0.75 (la componente diffusa della radiazione è pari al 25-30% della radiazione globale). In genere nelle altre località del Centro-Sud, K si aggira intorno a 0.6 (la componente diffusa è il 40% della radiazione totale).
Per confronto, basta spostarsi in Tunisia o in Egitto in località un po’ distanti dalla costa per avere valori di K pari a 0.9. Supponiamo allora di aver scelto la Sicilia per collocare una centrale solare termoelettrica a specchi. Quale efficienza ci dovremo attendere?
La risposta ci viene fornita dalla (3) se consideriamo di riferirci alla radiazione diretta che cade sugli specchi (K=1). A seconda della bontà della tecnologia scelta, avremo un’efficienza collocata tra il 7 ed il 13%.
Se però vogliamo confrontarci con l’opzione fotovoltaica a parità di superficie dei moduli e degli specchi, allora dovremo considerare l’effetto di K, che per la Sicilia vale al meglio 0.75. Quindi l’efficienza da confrontare sarà compresa fra il 5 ed il 9.7%. La conclusione è che, anche nella situazione più favorevole per il solare termoelettrico, il fotovoltaico risulta perfettamente confrontabile.
Se poi si considerasse la maggiore occupazione del suolo da parte degli specchi rispetto ai pannelli fotovoltaici (dovuta alla necessità di evitare l’ombreggiamento reciproco), ne verrebbe fuori una prevalenza netta del fotovoltaico.
Il confronto tra i due sistemi su base economica non è così semplice come quello tecnico. Occorre considerare per entrambi i casi i costi specifici d’impianto chiavi in mano e la quantità specifica di energia elettrica prodotta annualmente al netto del fattore di disponibilità degli impianti. I costi di esercizio e manutenzione, il rateo d’interesse e la durata di vita ipotizzata giocano un ruolo determinante nello stabilire il costo dell’unità di energia prodotta. E’ chiaro che, a seconda dei valori che si assumono nei due casi per questi parametri, il confronto può pendere da una parte o dall’altra.
Rimandando all’analisi dettagliata condotta nel lavoro in bibliografia1, qui se ne può riassumere il risultato per grandi linee. Avendo preso a riferimento i dati d’insolazione di uno dei migliori siti solari italiani, quello di Trapani, si è effettuato il confronto tra una centrale a specchi paraboloidi lineari (del tipo del Progetto Archimede) e una fotovoltaica di uguale superficie captante. In entrambi i casi si è assunto il valore attuale dei parametri come si ricava dalla letteratura sulle analoghe esperienze. Ne è emerso che il sistema fotovoltaico produce il kWh ad un costo inferiore a quello del sistema solare a specchi. L’unico vantaggio attribuibile al solare termoelettrico è indubbiamente costituito dalla possibilità di accumulare per qualche tempo il calore in modo da erogare l’elettricità in un periodo differito, quando il valore del kWh può essere più alto (possibilità del dispacciamento parziale).
Prospettive di sviluppo
Se si esamina il set di valori assunti dalle diverse efficienze tecniche parziali, si nota subito che il valore dell’efficienza del gruppo finale di conversione termoelettrica, η4 = (0.25 ~ 0.30), è il principale responsabile del basso risultato complessivo. Quindi, se vogliamo aumentare il rendimento complessivo, occorre elevare l’efficienza del ciclo termodinamico.
Come è noto, tale efficienza dipende dal salto termico che è possibile utilizzare per il ciclo. Le centrali solari oggi in funzione usano all’incirca un salto di (560 – 290 = 270 °C), determinato dal fatto che i sali fusi accumulano il calore a 560 °C e non possono essere raffreddati a meno di 290 °C perché, al di sotto, essi solidificano. Con un tale valore a disposizione è praticamente impossibile avere efficienze superiori a quelle indicate, ciò a causa della presenza dei limiti di Carnot. Si deve allora utilizzare un fluido primario ed un mezzo di accumulo che possano lavorare bene a temperature dell’ordine di 1000 °C per ottenere efficienze confrontabili con quelle dei gruppi di conversione delle centrali termoelettriche, in modo da avere alla fine un’efficienza complessiva del 20%.
A prescindere dalle difficoltà tecnologiche di maneggiare fluidi termici a tale temperatura, ciò comporta a sua volta la necessità pratica di realizzare fattori di concentrazione ottica della radiazione solare notevolmente più alti di quelli attuali. Anche se questo è tecnicamente fattibile con la tecnologia degli specchi ottici piani, come hanno dimostrato numerose esperienze fatte sulle centrali solari termiche, tuttavia l’applicazione di tali tecniche ad una centrale solare termoelettrica ha incontrato notevoli difficoltà. A titolo indicativo degli ostacoli che s’incontrano, citerò alcune esperienze. Ad esempio, è stata sperimentata come fluido primario l’aria secca. Con essa si arriva facilmente a raggiungere le alte temperature volute, ma a tali temperature l’ossigeno atmosferico diviene fortemente corrosivo e danneggia tutti i materiali con cui viene a contatto. Allora si è proposto un gas inerte, come l’elio, ma pur essendo migliorata la durata dei materiali, si sono sperimentati numerosi guasti meccanici, dovuti alla bassa inerzia termica del fluido, il cui raffreddamento rapido in risposta al passaggio di una nuvola davanti al sole, ed al conseguente stress termo-meccanico, provocava il distacco della serpentina all’interno del ricevitore.
D’altra parte il ricorso alla tecnologia convenzionale più semplice, quella degli specchi paraboloidi lineari a inseguimento su un solo asse, è impedito dal valore troppo basso del fattore di concentrazione ottenibile, che a stento raggiunge valori fra 50 e 80. Con tali valori non è possibile ottenere temperature più alte di 600 °C circa.
In conclusione, allo stato della tecnologia odierna, appare molto problematico l’incremento dell’efficienza fino a quei valori intorno al 20% che sono richiesti per il raggiungimento della competitività.
Come si è già accennato, tuttavia, una svolta decisiva potrebbe avvenire utilizzando i recenti nuovi concentratori paraboloidi, messi a punto da Roland Winston 2 dell’Università di Chicago, che sono basati sul nuovo concetto della focalizzazione dei raggi solari senza creare nel fuoco l’immagine ottica del sole. Con tale tecnica, che tra l’altro può anche fare parzialmente a meno dell’inseguimento del sole, si possono ottenere nella pratica fattori di concentrazione dell’ordine di 1000 o 10000 e di conseguenza alte temperature del fluido primario. In ogni caso, però, rimangono da risolvere tutti problemi tecnologici relativi alla scelta ed al maneggio del fluido primario ad alta temperatura.
Conclusione
La breve e non certo esauriente presentazione delle problematiche che incontra la tecnologia del solare termoelettrico lascia chiaramente intendere che essa è ancora distante da quella maturità industriale ed economica che sarebbero necessarie per intraprendere programmi di diffusione su larga scala degli impianti nella situazione territoriale e climatica italiana. Ciò tuttavia non toglie che debbano essere condotte attività di ricerca per migliorare le prestazioni delle centrali. Ma per queste attività di apprendimento è sufficiente lavorare su modelli in piccola scala senza mettere in gioco le grandi risorse pubbliche come quelle che sono richieste per i mega esperimenti del tipo del Progetto Archimede.
Riferimenti
Domenico Coiante, “Le nuove fonti di energia rinnovabile”, Cap.6: “Energia termoelettrica dal sole”, Franco Angeli Editore, Milano 2004