Paradigma post-petrolifero e popolazione
Nota dell'Editore: Il presente articolo descrive l'enorme importanza del petrolio nella nostra società, sia come fonte di energia che come materia prima. La disponibiltà di petrolio abbondante e a buon mercato ha permesso il rapido incremento della popolazione e l'espansione economica del XX secolo. Con l'imminenza del picco e conseguente declino della produzione petrolifera, l'umanità dovrà affrontare il maggior rischio e la più grande sfida della sua storia.
Introduzione
L’uso del petrolio ha cambiato le economie del mondo, le strutture politiche e sociali e gli stili di vita ben oltre gli effetti sortiti da qualsiasi altra sostanza in un così breve tempo. Ma le scorte di petrolio sono limitate. Il picco massimo nella produzione petrolifera mondiale e l’inizio dell’irreversibile declino della disponibilità di petrolio sono chiaramente in vista. Questo articolo esamina il ruolo del petrolio in due contesti:
- la sua importanza nei Paesi quasi completamente dipendenti dalle entrate garantite dal petrolio;
- il ruolo del petrolio nella produzione agricola mondiale.
Verranno anche esaminate le possibili alternative al petrolio e al suo prossimo vicino, il gas naturale [il metano - N.d.T.].
I Paesi quasi interamente dipendenti dalle entrate garantite dal petrolio sono principalmente quelli della regione del Golfo Persico. La prosperità che il petrolio ha portato a queste nazioni ha avuto come risultato una rapida crescita della popolazione che non è sostenibile senza i redditi petroliferi.
L’agricoltura mondiale è ora altamente dipendente dal petrolio e dal gas naturale per quanto riguarda i fertilizzanti e i pesticidi. Senza questi, la produttività agricola calerebbe in modo marcato. Come materiale di base per la produzione di queste sostanze, il petrolio e il gas naturale sono insostituibili.
Lo stile di vita e la ricchezza nel paradigma post-petrolifero saranno molto differenti da quelli di oggi. La popolazione mondiale deve essere ridotta se vuole poter esistere con un ragionevole standard di vita. In quei tempi la preoccupazione sarà incentrata molto più di oggi sull’ottenimento delle risorse di base, in particolar modo agricole, con le quali poter sopravvivere.
L’importanza epica del petrolio
Nessun’altra sostanza ha cambiato il mondo e influito su così tanta gente in così poco tempo come il petrolio. Il petrolio è diventato una parte vitale dell’industria, dell’agricoltura e del tessuto sociale in genere. Il petrolio, tramite i suoi derivati benzina, kerosene e gasolio, alimenta globalmente oltre 600 milioni di veicoli. Ma il petrolio è una risorsa limitata, e noi la stiamo usando con velocità esponenziale. Ci sarà presto un paradigma post-petrolifero. Quali problemi ci si parano innanzi per adeguarci ad esso e quali saranno i più importanti aspetti della vita in quel tempo?
Poco è stato scritto in modo dettagliato circa il mondo dopo il petrolio. Alcuni sembrano pensare che l’esaurimento del petrolio non avverrà, almeno fintanto che vivranno. I governi e le socieà nel loro complesso fronteggiano le crisi quando si presentano, più che anticiparle e mettere in atto azioni preventive e migliorative. Nella discussione relativa al petrolio, quando questa avviene, l’attenzione stata generalmente rivolta alla data del picco massimo nella produzione petrolifera, con i geologi che indicavano una data più vicina e i sociologi e gli economisti che suggerivano una data più remota (Campbell, 1997; Campbell & Laherrere, 1998; Anderson, 1998; Fouda, 1998; Edwards, 1997; Hatfield, 1997; Ivanhoe, 1995; Lynch, 1996; Adelman & Lynch, 1997).
Prevedere la data in cui la produzione petrolifera raggiungerà il suo picco è utile e importante ma, in qualsiasi momento essa avvenga, la cosa più importante è cosa comincerà ad accadere dopo di essa. Più che spendere energie nel discutere la data del picco, il problema sul quale ci si dovrebbe concentrare è che è in vista l’inizio di un’epoca irreversibile e permanente oltre il petrolio. Un fatto lo rende cristallino. Il mondo sta impiegando circa 26 miliardi di barili di petrolio all’anno ma, con la scoperta di nuovi campi petroliferi, ne stiamo scoprendo meno di 6 miliardi. Il mondo sta per uscire dall’affare petrolifero. Che accadrà dopo?
Che la produzione petrolifera raggiungerà il massimo per poi declinare è indiscutibile. Se i più ottimisti hanno ragione e la data del picco è un po’ più lontana innanzi a noi di quanto predicano i geologi, ciò non farà che esacerbare i problemi, poiché significa che la popolazione nel momento della svolta nella produzione petrolifera sarà ancora maggiore di quanto sarebbe in un momento più prossimo e sarà quindi ancora più difficile mettere in atto l’adattamento ad una vita senza petrolio.
Immaginare come sarà il paradigma post-petrolifero implica considerazioni circa una miriade di aspetti della scena mondiale. Il declino globale della produzione petrolifera, fino al punto in cui sarà insignificante in relazione alla domanda, avrà molte ramificazioni, cambiando le economie, le strutture sociali e gli stili di vita individuali nel mondo.
Questo articolo presenta due aspetti particolarmente significativi del paradigma post-petrolifero, insieme con una valutazione delle alternative al petrolio. Le due materie prese in considerazione sono:
- Gli effetti del declino della produzione petrolifera nei Paesi che sono quasi completamente dipendenti sul petrolio per la propria sopravvivenza.
- Gli effetti sull’agricoltura mondiale della diminuzione e del definitivo esaurimento delle scorte di petrolio e gas naturale, e l’effetto corrispondente sulla capacità dell’agricoltura di fornire cibo alla popolazione.
Paesi principalmente dipendenti dalle entrate derivanti dal petrolio
Alcuni Paesi sono divenuti quasi totalmente dipendenti dalle entrate derivanti dal petrolio. Che accade alle economie e alle strutture sociali che sono state costruite in gran parte o quasi interamente sulla base di una risorsa non rinnovabile -- il petrolio? Questa è la situaizone dei Paesi del Golfo Persico: Kuwait, Arabia Saudita, Iraq, Qatar, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Oman. Iran e Venezuela, con modeste basi agricole, non sono così dipendenti dal petrolio, sebbene entrambi i Paesi ricavino la maggior parte dei propri scambi con l’estero dalla vendita del petrolio. Altrove, sia la Libia che il Brunei sono quasi completamente dipendenti dal petrolio.
L’arrivo delle ricchezze derivanti dal petrolio ha portato a tutti questi Paesi cambiamenti più rapidi e profondi di quanto sia accaduto in qualsiasi altra nazione del mondo e in qualsiasi altra epoca storica precedente. L’Arabia Saudita ha messo in atto la propria transizione da una cultura in gran parte nomade a una nazione ricca e altamente organizzata in meno di 60 anni. In gran parte, questo vale per tutti i Paesi arricchitisi grazie al petrolio.
Prima di ottenere ricchezza dal petrolio, tutte queste nazioni erano sottosviluppate. Non c’erano programmi sociali da parte del governo, l’assistenza medica era molto limitata e le infrastrutture quali strade, trasporti pubblici e privati ed energia elettrica erano trascurabili.
L’arrivo del denaro indotto dal petrolio portò grandi cambiamenti sociali ed economici a questi Paesi. Tra le altre cose, furono varati diversi programmi sociali, tutti destinati a sostenere un più elevato tenore di vita. Questi includono forniture di cibo sottoposte a sussidio e cure mediche gratuite o a basso costo. Nelle nazioni in gran parte deserte, forniture di cibo importato e agevolato costituiscono un cambiamento particolarmente gradito rispetto alle diete limitate del passato. Ma quali sono stati i risultati?
Prosperità e popolazione
Contrariamente alla idea comune secondo la quale una accresciuta prosperità abbia come effetto una riduzione della velocità delle nascite e della crescita della popolazione, Abernethy (1993), con molti esempi, evidenzia come lo sviluppo economico possa stimolare la crescita della popolazione. Con migliori prospettive per il futuro, ci si possono permettere più bambini, e cure mediche migliorate significano un miglior tasso di soppravvivenza. Il punto di vista di Abernethy è pienamente convalidato da ciò che è accaduto nelle nazioni arricchitesi grazie al petrolio. Con i programmi sociali sostenuti dalle entrate dovute al petrolio e la tradizione mussulmana di famiglie numerose, il tasso di crescita di tutte le nazioni del Golfo (che sono tutte mussulmane) e la Libia, anch’essa mussulmana, è stato ben al di sopra della media mondiale che è dell’1,6% circa. Per esempio, il tasso annuale di crescita della popolazione in Arabia e in Libia è del 4,1% (raddoppio1 in 17 anni), in Kuwait del 6,0% (raddoppio in 11,6 anni), nel Qatar del 6,5% (tempo di raddoppio 10,7 anni), e negli Emirati Arabi Uniti del 7,3% (tempo di raddoppio 9,6 anni). Come risultato di questi elevati tassi di crescita, circa la metà della popolazione del mondo arabo ha meno di 15 anni di età, preannunciando una continuazione e forse anche un aumento del tasso di crescita della popolazione per i prossimi due decenni (Fernea, 1998). In più, questa nuova generazione è la prima a vivere prevalentemente in città. Ciò è statp reso possibile dalla ricchezza derivata dal petrolio, che ha consentito alla gente di andare oltre un’economia primaria basata sull’agricoltura e sul nomadismo. (Questo processo è simile a quello che ebbe luogo in precedenza negli Stati Uniti quando il bisogno di lavoro agricolo fu grandemente ridotto dai macchinari mossi dall’energia proveniente dal petrolio e la gente si spostò in città per lavorare nelle fabbriche e in altre imprese.)
Costruire su una risorsa limitata
Entro due decenni al più tardi, secondo alcune stime, anche le nazioni del Golfo, che ora detengono la maggior parte delle scorte mondiali di petrolio, si troveranno ad avere a che fare con un declino nella produzione petrolifera. Prezzi più alti potrebbero fare da cuscinetto all’effetto economico di questo declino ma, inevitabilmente, con l’esaurirsi dei depositi di petrolio, le entrate da essi derivanti cesseranno di essere significative. La prosperità e la prospettiva di un futuro roseo hanno costituito fino a tempi recenti l’esperienza nelle nazioni arricchitesi grazie al petrolio. Ma ora le entrate derivanti dal petrolio hanno cominciato a crescere meno rapidamente che in passato e la popolazione continua a crescere. Nel caso dell’Arabia Saudita, che detiene le più ampie riserve petrolifere di ogni nazione, il governo si è effettivamente ritrovato in deficit ed ha dovuto ridimensionare vari programmi e sussidi sociali. Una delle ragioni per la breve caduta dei prezzi del petrolio all’inizio del 1998 fu il fatto che l’Arabia Saudita e altri Paesi del Golfo sforarono le proprie quote di produzione stabilite dall’OPEC per sostenere le entrate derivanti dal petrolio e poter tenere in piedi i propri programmi sociali e garantire la soddisfazione dei propri cittadini.
Reed e Rossant (1995) scrivono:
“Gli esperti la chiamano la Malattia del Golfo. Le radici del problema sono le stesse in tutta l’area del Golfo. L’era nella quale le famiglie regnanti potevano impiegare proventi da petrolio apparentemente infiniti per comprare la lealtà ed il silenzio della popolazione si sta avviando al termine. Governi a fondo di quattrini stanno effettuando tagli ai servizi sociali mentre il torrente di ricchi contratti che aiutava l’economia basata sul petrolio si riduce quasi a niente”. (p. 54)
Come l’incremento della popolazione influisce sulla ricchezza pro-capite viene illustrato in successive osservazioni degli autori:
“Anche una esplosione della popolazione ha pesantemente contribuito a erodere la produzione lorda pro-capite da oltre 12.000 dollari nel 1982 a poco più di 7.000 dollari oggi [1995]. Qualcosa come 3 milioni di Sauditi -- il 44% della forza lavoro -- lavorano nel settore pubblico dove i salari sono stati congelati per quasi un decennio. Quest’anno, in forte controtendenza rispetto alla tradizionale prodigalità, ha più che raddoppiato le tariffe imposte ai residenti per l’elettricità, l’acqua ed altri servizi… Una simile erosione dello stato sociale del deserto mette aspramente alla prova il contratto sociale paternalistico tra il clan regante e la popolazione”.
Chandler (1994) scrive:
“Sebbene molte delle esuberanti entrate derivanti dal petrolio negli anni ‘70 siano state saggiamente investite in Arabia Saudita -- in ospedali, strade, ponti, porti, centrali elettriche e simili -- una parte enorme sono state destinate a programmi sociali che non possono essere probabilmente sostenuti in una nazione nella quale la popolazione sta crescendo ad un tasso di quasi il 4% all’anno, uno dei più elevati tassi di crescita al mondo”. (p. 41)
I Sauditi comprendono la natura limitata delle proprie risorse petrolifere. Essi vanno dicendo: “Mio padre cavalcava un cammello, io guido un’auto, mio figlio pilota un aereo a reazione -- suo figlio cavalcherà un cammello”. Può essere tra più di una generazione che il petrolio Saudita si esaurirà, ma ciò avverrà inevitabilmente. Senza alcun’altra base economica solida, e nessuna è in vista, si dovranno attuare enormi aggiustamenti nello stile di vita e probabilmente nelle dimensioni della popolazione. Non sarà facile.
Il Kuwait è fatto di petrolio. Le sue 7.000 miglia quadrate scarse contengono più petrolio di quanto ne contengano gli Stati Uniti in 3,5 milioni di miglia quadrate. Era un bottino molto ricco in un comodo, piccolo pacco quello che voleva Saddam Hussein. Il Kuwait non ha tasse sul reddito, gli affitti e le forniture sono soggette a sussidi, le cure mediche sono gratuite e il governo dà ad ogni coppia oltre 7.000 dollari per il proprio matrimoniio. Esso ha le sue proprie aviolinee, Kuwait Airlines, che fanno volare dei Boeing 747 in un servizio regolare da New York e Londra al Kuwait, e il governo ha costruito una pista da pattinaggio su ghiaccio olimpionica. Il Kuwait ha investito considerevoli quantità di denaro all’estero e di recente sta guadagnando più da queste imprese (inclusa una grande catena di stazioni di servizio) di quanto non guadagni direttamente dalle esportazioni petrolifere. La speranza del kuwait è che quando esaurirà il petrolio, questi investimenti all’estero continueranno a sostenere il modo di vivere kuwaitano. Ad ogni modo, le stazioni di rifornimento all’estero (il simbolo sulle insegne nell’Europa Occidentale è “Q8”) potrebbero non produrre grandi entrate in futuro, e la velocità di crescita della popolazione, che oggi raddoppia ogni 11,6 anni, potrebbe eccedere la velocità alla quale cresceranno le entrate degli investimenti. Sarà un interessante esempio da osservare. Il Kuwait non ha virtualmente alcuna agricoltura, e tutte le sue fabbriche sono basate sul petrolio (petrolchimica). Il Kuwait è diventato una nazione nella quale il benessere è sostenuto dal petrolio più di ogni altra nazione del Golfo (Reed, 1996).
Il Venezuela, che detiene più della metà delle riserve petrolifere del Sud America, ha anche una quantità di programmi sociali sostenuti dai redditi petroliferi. Ad ogni modo, in un’anteprima di quanto sarebbe accaduto, nel 1989, quando le entrate petrolifere barcollarono per un breve periodo, il governo dovette modificare le sue libere spese. Quando furono elevati le tariffe degli autobus soggette a sussidio da parte del governo e i prezzi della benzina, fino a quel momento economici, scoppiarono delle rivolte a Caracas e in altre 17 città. Oltre 300 persone furono uccise, 2.000 ferite e molte migliaia arrestate. Il governo dovette revocare questi aumenti (Moffett, 1995).
Nel 1995, con la continua crescita della popolazione e con gli introiti pro-capite provenienti dal petrolio incapaci di tenerne il passo, si ebbero nuovamente problemi. Gli studenti universitari minacciarono dimostrazioni di piazza se i costi di cose quali le mense agevolate e il trasporto pubblico fossero stati innalzati. Nel 1996, il governo venezuelano, a causa dell’economia in crisi, richiese un prestito di 2,5 miliardi di dollari al Fondo Monetario Internazionale (Vogel, 1996).
In Venezuela, le entrate derivanti dal petrolio non hanno tenuto il passo della crescita della popolazione e della corrispondente crescita nei costi dei servizi sociali istituiti in anni di più ricchi redditi petroliferi. La produzione petrolifera e le conseguenti entrate sono aumentate, ma la crescita della popolazione ha superato le statistiche relative al petrolio. Ci si attende che la produzione petrolifera venezuelana raggiunga il suo picco massimo entro dieci anni [l’articolo è del 1999 - N.d.T.]. La crescita della popolazione è del 3,5% annuo, il che significa un raddoppio entro 20 anni. Per il momento in cui la popolazione sarà raddoppiata, la produzione petrolifera sarà in declino.
Picco massimo nella produzione petrolifera e suo significato
Non è tanto importante quando l’ultima goccia di petrolio viene pompata, quanto piuttosto il picco massimo (la massima quantità giornaliera) dopo il quale segue un irreversibile declino della produzione petrolifera. Allora, tutti i programmi sociali ed economici basati sulle entrate derivanti dal petrolio dovranno essere tagliati. Paesi, quali il Kuwait, che hanno investito parte delle proprie entrate derivanti da petrolio all’estero potrebbero riuscire a sostenere i propri programmi sociali almeno in modesta misura, ma se il tasso di crescita della popolazione si mantiene elevato, è fortemente dubbio che le entrate su base pro-capite possano eguagliare quelle odierne, provenienti dal petrolio. La maggior parte dei Paesi stanno consumando i propri redditi da petrolio man mano che li ottengono.
Secondo gli studi più recenti, si prevede che il picco nella produzione petrolifera mondiale si verificherà in un momento compreso tra il 2003 (Campbell, 1998) e il 2020 (Edwards, 1997). È particolarmente interessante che nel marzo del 1998, l’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) abbia previsto per la prima volta una possibile data del picco nella produzioe petrolifera, affermando: “…un picco nella produzione petrolifera convenzionale mondiale potrebbe verificarsi tra il 2010 e il 2020” (International Energy Agency, 1998). Più in dettaglio, è stato appena completato uno studio di previsione del picco nella produzione petrolifera in 42 Paesi (Duncan & Youngquist, 1998). I Paesi fortemente dipendenti dal petrolio e il loro picco stimato sono: Kuwait, 2018; Oman, 2002; Siria, 1999; Emirati Arabi Uniti, 2017; Yemen, 2002; Arabia Saudita, 2011; Venezuela, 2005. Qatar, Bahrain, Iran, Libia, e Brunei hanno già superato il proprio picco. Il declino della produzione petrolifera del Qatar è attutito dagli enormi depositi di gas attualmente in fase di sviluppo. Sia il Bahrain sia l’Iran sono afflitti da tensioni da quando il declino delle entrate derivate dal petrolio ne ha minato alla base gli standard di vita. L’Iran ha superato il proprio picco produttivo nel 1973. Con una popolazione in crescita ben oltre quanto le sempre minori entrate derivanti dal petrolio possano supportare, l’Iran sarà la prima nazione del Golfo arricchitasi grazie all’oro nero che entro dieci anni sarà più povera di quanto non fosse vent’anni fa. La crescita della popolazione diluisce le ricchezze derivanti da petrolio disponibili.
Il picco della produzione irachena è atteso nel 2011, ma potrebbe essere ritardato dall’attuale embargo petrolifero dovuto alle sanzioni statunitensi. Ad ogni modo, è da notare come l’odierna carenza di entrate derivanti dal petrolio stia danneggiando i cittadini iracheni, disperati per i beni di prima necessità, inclusi cibo e medicinali. Vengono inviati approvvigionamenti di supporto. Ma quando verrà il momento nel quale l’Iraq non avrà più petrolio da vendere o ne avrà poco, come sosterrà la propria popolazione? Il petrolio ha rappresentato il 99% delle fonti di scambio con l’estero dell’Iraq, e neppure ora la nazione è autosufficiente per quanto riguarda le forniture alimentari. Il resto del mondo continuerà a colmare la differenza tra necessità e disponibilità quando l’Iraq non avrà più petrolio da dare in cambio di cibo? O, ancor più importante, le nazioni tradizionalmente esportatrici di generi alimentari, avranno ancora in quel tempo un eccesso di granaglie da vendere?
Gli effetti dell’esaurimento del petrolio mondiale e del suo stretto vicino, il gas naturale, sulla produzione alimentare complessiva globale non possono essere ignorati.
Petrolio e agricoltura mondiale
Un secondo aspetto del paradigma post-petrolifero non è confinato alle nazioni arricchitesi col petrolio e da esso dipendenti, ma tiguarda il mondo nel suo complesso. Il modo in cui il declino e l’eventuale esaurimento del petrolio e del suo stretto associato, il gas naturale, interesseranno la produzione alimentare mondiale è di fondamentale importanza. Bartlett (1978) coglie il punto molto brevemente: “L’agricoltura moderna consiste nell’uso del terreno per convertire il petrolio in cibo”(p. 880).
Meccanizzazione, petrolchimico, ingegneria genetica
Questi tre fattori si sono combinati per produrre la rivoluzione verde che ha così grandemente incrementato la produttività agricola nel XX secolo. Due di questi elementi, la meccanizzazione e la petrolchimica, sono resi possibili dal petrolio e dal gas naturale.
La meccanizzazione dell’agricoltura ha consentito di mettere economicamente in produzione enormi estensioni di terreni che non sarebbero stati utilizzabili con il solo lavoro umano ed animale. Negli Stati Uniti, all’inizio del XIX secolo, squadre di venti o più cavalli trascinavano lentamente enormi mietitrebbie ed aratri attraverso i campi. E per tutto l’inverno questi cavalli andavano nutriti, ricavandone gli alimenti dalla produzione che, diversamente ed almeno in parte, si sarebbe potuta usare per l’alimentazione umana. Ora, si può arare, seminare e raccogliere su grandi estensioni per mezzo di enormi macchine mosse dai derivati del petrolio (gasolio o benzina). Le macchine non devono essere “nutrite” (alimentate) quando non sono in funzione.
I raccolti vengono convogliati a punti di raccolta e lavorazione centralizzati da zone sparpagliate e spesso relativamente lontane per mezzo di enormi autocarri per i quali l’unico carburante che al presente possa essere utilizzato è il petrolio. Il cibo viene distribuito alle città e alle zone remote per mezzo di veicoli in gran parte mossi dal petrolio. Circa il 2% della popolazione degli Stati Uniti fornisce oggigiorno il cibo per l’intera nazione, che è il più grande esportatore mondiale di granaglie Il petrolio ed il gas naturale rendono possibile tutto ciò. [l’Italia, nonostante condivida la stessa tecnologia, rimane un forte importatore di generi alimentari a causa della limitatezza del proprio territorio in relazione alla quantità di abitanti - N.d.T.].
Il petrolio e il gas naturale, più che energia
Per la maggior parte della gente, le principali relazioni col petrolio e col gas naturale avvengono nella forma di fonti di energia per il riscaldamento domestico, per la cottura dei cibi e per l’alimentazione dei propri veicoli personali. L’importantissimo ruolo del petrolio e del gas naturale in agricoltura, oltre all’ovvio impiego come combustibile nei macchinari agricoli, è spesso sconosciuto. Ma questi materiali grezzi costituiscono la base per i fertilizzanti per mezzo dei quali i raccolti vengono incrementati, nonché per i pesticidi usati per proteggere i raccolti dagli insetti e dalle malattie e per controllare le erbe infestanti che competono con le coltivazioni. I fertilizzanti più usati sono composti di ammoniaca ricavati dal gas naturale.
“Ettari fantasma”
La “rivoluzione verde”, che ha consentito alla Terra di sostenere così tanta gente in più rispetto al passato, è una combinazione di ingegneria genetica sulle piante, meccanizzazione e prodotti petrolchimici forniti dal petrolio e dal gas naturale.
Evidenziando l’importanza dei prodotti petrolchimici, Pimentel (1998a), afferma:
“Se si dovesse fare a meno dei fertilizzanti, di parte dell’irrigazione (per la parte resa possibile dall’energia ricavata dal petrolio) e dei pesticidi, i raccolti di mais, per esempio, crollerebbero da 130 a circa 30 staia per acro” [da 11.814 a 2.726 litri per ettaro; 1 staio = 36,35 litri; 1 acro = 0,40 ettari - N.d.T.].
Ad ogni modo, questo è vero presupponendo che possano essere usate le leguminose per fornire un po’ di azoto. Senza il ricorso alle leguminose, i raccolti scenderebbero a circa 16 staia per acro [1.454 litri per ettaro - N.d.T.]. Questa quantità corrisponde all’incirca al raccolto di mais ottenuto nei paesi in via di sviluppo.
Il centinaio di staia addizionali è stato prodotto da “ettari fantasma” che non esistono se non sotto forma di fertilizzanti, in gran parte ricavati da gas naturale, e di petrolio per i pesticidi. Quando gli “ettari fantasma” forniti dal petrolio e dal gas naturale non esisteranno più, la produttività agricola si ridurrà drasticamente.
Gli incrementi che l’ingegneria genetica ha fornito all’agricoltura rimarranno, ma probabilmente ad un grado minore di quello attuale. Brown e Kane (1994) riportano che “…i fertilizzanti sono stati l’elemento centrale dell’incremento della produzione alimentare mondiale negli ultimi quattro decenni” (p. 122). Ma poco oltre essi osservano che “…le nuove varietà [derivanti dall’ingegneria genetica] danno elevati raccolti precisamente a causa della propria maggiore risposta ai fertilizzanti rispetto alle varietà tradizionali”. Quindi, è dubbio se un altro grande balzo in avanti della produzione per una ulteriore “rivoluzione verde” possa avvenire in futuro. Sembra che, quando saranno disponibili sempre meno fertilizzanti e prodotti petrolchimici, la produttività agricola totale mondiale sia destinata a crollare.
Pimentel e i suoi associati hanno condotto ricerche sul ruolo dell’energia nei sistemi agricoli e presentano statistiche significative. Pimentel (1998a) afferma:
“Circa il 90% dell’energia impiegata nella produzione agricola proviene da petrolio e gas naturale. Circa un terzo dell’energia serve per ridurre il lavoro impiegato da 500 ore per acro [1250 ore per ettaro - N.d.T.] a 4 ore per acro [10 ore per ettaro - N.d.T.] nella produzione di cereali. Circa i due terzi nell’energia servono per la produzione, e di questi circa un terzo serve per i soli fertilizzanti.”
Fleay (1995), notando che l’Australia è il quarto Paese maggiore esportatore di frumento, discute l’importanza del petrolio e del gas nella produzione agricola di quel Paese, in particolare per compensare il relativamente povero suolo australiano. Fleay (1995) afferma:
“In questo secolo, i fertilizzanti hanno giocato un ruolo chiave per la nostra agricoltura nel compensare la povertà di nutrienti dei suoli… Dal 1965, si è verificato un drammatico incremento di venti volte nell’impiego dei fertilizzanti azotati. I combustibili fossili sono necessari per la fabbricazione dei fertilizzanti -- 1500-2500 MJ [megajoule - N.d.T.] per tonnellata per i superfosfati… Ad ogni modo, i fertilizzanti azotati impiegano gas naturale o petrolio come materia prima e avevano una intensità energetica di 37.000 MJ per tonnellata nel 1980” (p. 15).
Fleay afferma, riassumendo:
“Gran parte della popolazione del mondo dipende per il cibo dagli elevati raccolti ottenuti impiegando i combustibili fossili. Il mondo potrebbe sostenere solo una popolazione di 3 miliardi di abitanti senza questo contributo. Il petrolio è un combustibile chiave… I principali esportatori di cereali sono gli Stati Uniti, il Canada, l’Europa, l’Australia e l’Argentina -- tutte fortemente dipendenti da un’agricoltura di tipo industriale basata sull’uso del petrolio.”
Grant (1996) nota l’importanza critica dei prodotti petrolchimici per gli agricoltori, affermando:
“…la dipendenza dai pesticidi e dagli erbicidi è cresciuta drammaticamente poiché [gli agricoltori] perderebbero in tutto o in parte i propri raccolti se interrompessero le irrorazioni…” (p. 27).
Grant aggiunge:
“La crescita dei raccolti, durata 50 anni, sta rallentando o giungendo al termine, e il mondo sta pagando un prezzo elevato e in aumento per lo sforzo di continuare a incrementare i raccolti. I Paesi che sono diventati dipendenti da raccolti elevati dovrebbero cercare di sfuggire dalla gabbia di una domanda in continua crescita. Quelli che non sono ancora dipendenti dai fertilizzanti commerciali dovrebbero riconoscerne i limiti potenziali ed i costi, e tentare di controllare la domanda -- la crescita della popolazione -- piuttosto che contare speranzosamente su raccolti agricoli migliori per risolvere i propri problemi” (p. 28).
Agricoltura, petrolio e popolazione
La civilizzazione esiste grazie a raccolti coltivati nel suolo superficiale che, nel mondo, non è mediamente più profondo di trenta centimetri. Questi trenta centimetri rappresentano la differenza tra la disponibilità di cibo o l’imperversare delle carestie per la specie umana, e l’umanità ha conosciuto la fame nel passato e tutt’ora la conosce in alcuni luoghi. Sono chiaramente in fase di collisione due tendenze: primo, la popolazione sta crescendo allo strabiliante ritmo di quasi un quarto di milione al giorno, ed è fortemente e sempre più dipendente dal petrolio e dal gas naturale per la produzione alimentare; secondo, la fine delle disponibilità di petrolio è chiaramente in vista. Gever ed i suoi associati (1991) hanno presentato un’eccellente analisi delle dimensioni di un intero volume di come sarà il futturo senza petrolio, con particolare riferimento alla situazione alimentare, e prevedono grandi problemi.
Alternative ai combustibili fossili
Stiamo vivendo su “ettari fantasma”, ma anche su “secoli fantasma” -- quelli del passato, fino ad oltre mezzo miliardo di anni fa, quando il petrolio e il gas naturale si formarono in varie epoche nella crosta terrestre. Stiamo rapidamente consumando queste risorse ereditate da eoni passati, e quei secoli, ora spettri del passato, vedranno presto esaurite le proprie risorse petrolifere.
Siamo fortunati a vivere in quella che è stata chiamata l’Età dell’Uomo degli Idrocarburi. Quest’epoca comprende il carbone, il petrolio e il gas naturale, tra i quali il petrolio è il più importante. Ma si tratterà di un breve lampo nella storia umana -- al massimo un paio di secoli. Siamo già oltre la metà dell’epoca del petrolio. Le scorte di gas naturale dureranno solo poco più a lungo.
Con l’imminente declino del petrolio (incluso il gas naturale), la domanda più importante diviene: “Quali sono le alternative?”. Negli anni e, più recentemente, dalla crisi petrolifera degli anni ‘70, è stata incrementata la ricerca di alternative al petrolio. È stata identificata una quantità di alternative, e la maggior parte di esse sono state sperimentate in misura più o meno approfondita.
Rinnovabili e non rinnovabili
Le alternative possono essere raggruppate in fonti rinnovabili e fonti non rinnovabili. Alla fine, le fonti rinnovabili dovranno completamente colmare il vuoto lasciato dall’esaurimento del petrolio, poiché le fonti non rinnovabili, che comprendono il carbone, il nucleare, le sabbie petrolifere, gli scisti petroliferi (fino ad ora una fonte non realizzata), l’energia geotermica e quella idroelettrica, saranno prima o poi a loro volta esaurite. (Nota: gli invasi idrici da sbarramento finiscono per riempirsi tutti di sedimenti e tutti gli impianti di generazione di energia elettrica geotermici mostrano un deterioramento più o meno evidente. Sul lungo periodo, né l’idroelettrico, né il geotermico costituiscono una fonte di energia rinnovabile). Le energie rinnovabili comprendono il vento, il sole, le biomasse, le maree, la conversione dell’energia termica oceanica (OTEC) e la probabilmente inarrivabile fusione nucleare.
Quando si esaminano le alternative al petrolio suggerite, due fatti assumono subito evidente risalto. Primo, l’uso del petrolio e del gas naturale non ha rivali, come enorme fornitura di materiale grezzo per una miriade di prodotti petrolchimici che comprendono gli importantissimi fertilizzanti e pesticidi. Secondo, l’energia è energia nel senso di capacità di compiere un lavoro. Il pensiero comune è quindi che una forma di energia quale l’elettricità possa sostituire un’altra forma di energia quale la benzina. Ma, chiaramente, non è esattamente così. Un gallone di benzina [3,785 litri - N.d.T.] ha lo stesso contenuto energetico di una tonnellata di batterie convenzionali per l’immagazzinamento di elettricità. La fisica in base alla quale avviene l’immagazzinamento dell’energia elettrica, non può competere con la convenienza della benzina laddove un serbatoio da cinque galloni di benzina può essere trasportato, se necessario, per centinaia di miglia fino ad un posto molto distante per impiegarlo in qualche macchinario. L’equivalente elettrico consisterebbe in molte tonnellate di batterie.
L’impossibilità di scambiare facilmente i combustibili nell’utilizzo finale è un problema importante. A parte benzina e gasolio, non è ancora in vista un combustibile adatto ad alimentare in modo efficace gli enormi macchinari usati nell’agricoltura industriale, né le macchine più piccole per le operazioni su scala più ridotta. La versatilità del petrolio nella gestione, nel trasporto e nell’utilizzo finale (motori di ogni dimensione, utili in tutti i climi, immagazzinabile per lunghi periodi in luoghi lontani) è ineguagliata da qualsiasi altra fonte energetica.
Il mito dei combustibili biologici e dell’etanolo
A volte, il petrolio derivato dai vegetali viene presentato come una sorgente di combustibile in grado di sostituire il petrolio convenzionale. Ad ogni modo, uno studio completo da parte di Giampietro e altri (1997) conclude: “La produzione su larga scala di combustibile di provenienza biologica non è un’alternativa all’uso attuale del petrolio e non costituisce neppure una scelta consigliabile per sostituirne una parte significativa”. I fatti e l’esperienza accumulata con l’etanolo sono un esempio.
L’etanolo è un alcol ricavato da vegetali (solitamente dal mais) che è usato oggigiorno, principalmente sotto forma di gasohol, una miscela al 10% di etanolo e 90% di benzina. Poiché in una certa misura viene usato (principalmente per mandato federale in alcuni luoghi e in certi momenti) si pensa comunemente che l’etanolo sia una soluzione parzialmente accettabile al problema dei combustibili per autotrazione. Comunque, l’etanolo costituisce una fonte di energia negativa -- produrlo richiede più energia di quanta se ne possa ottenere dalla sua combustione.
Pimentel (1998b) afferma:
“La produzione di etanolo è uno spreco di risorse energetiche fossili… Ciò perché è necessaria molta più energia, gran parte della quale energia di alta qualità proveniente da combustibili fossili, per produrre l’etanolo di quanta ne sia disponibile nell’etanolo prodotto. Più specificamente, viene usato circa il 71% di energia in più per produrre un gallone di etanolo di quanta ne sia contenuta in quello stesso gallone di etanolo prodotto.”
Inoltre, la produzione di etanolo dal mais non può essere considerata energia rinnovabile. Nella coltivazione del mais e nella sua fermentazione/distillazione, si usa più energia non rinnovabile proveniente da fonti di energia fossile di quanta se ne ricavi sotto forma di etanolo (p. 5).
Pimentel evidenzia anche gli effetti ambientali negativi della produzione di etanolo dal mais:
Incrementare la produzione di etanolo incrementerà il degrado dell’agricoltura destinata al sostentamento della vita e delle risorse idriche, oltre a contribuire seriamente all’inquinamento dell’ambiente. Nella produzione di mais statunitense, il suolo viene eroso 20 volte più rapidamente di quanto venga formato.” [C’è qualche ragione per cui in Italia le cose debbano andare diversamente? - N.d.T.]
Localizzati nella principale regione di produzione del mais, gli scienziati dell’Università Statale dell’Iowa (Reilly, 1988) affermano che la produzione di etanolo costituisce una perdita in termini energetici. La produzione di etanolo riesce a sopravvivere solo in virtù dei sussidi del governo statunitense derivanti dai dollari dei contribuenti. Il proseguimento della produzione di etanolo è semplicemente un mezzo per comprare i voti degli agricoltori statunitensi medio-occidentali, e potrebbe anche essere in relazione al fatto che la compagnia che produce il 60% dell’etanolo statunitense è anche uno dei maggiori contribuenti delle campagne del Congresso -- uno sciagurato esempio di come la politica possa sopraffare la logica.
L’elettricità non è un sostituto adeguato
È importante notare come il prodotto finale di molte fonti energetiche alternative, quali il nucleare, l’idroelettrico, l’eolico, il solare, il geotermico e il pelagico sia l’elettricità, che non costituisce un sostituto per il petrolio e il gas naturale nel loro importante ruolo di materia prima per una quantità di prodotti, dalle vernici e dalle materie plastiche alle medicine e agli inchiostri. Ma probabilmente il più essenziale di tutti gli usi consiste nella preparazione dei prodotti chimici che costituiscono la base dell’agricoltura moderna. L’elettricità non può essere un sostituto.
Riassumendo: non è in vista alcun sostituto plausibile
È stata pubblicata recentemente una recensione delle prospettive future di tutte le alternative. La conclusione raggiunta è che non esiste alcun sostituto completo noto per il petrolio nei suoi molti e svariati impieghi (Youngquist, 1997). L’eminente scienziato inglese, Sir Crispin Tickell (1993), esprime un punto di vista simile:“…abbiamo fatto rimarchevolmente poco per ridurre la nostra dipendenza da un combustibile [il petrolio] che è una risorsa limitata e per il quel non esiste in prospettiva un sostituto globale” (p. 20).
Il mondo sta costruendo su una ricchezza non rinnovabile
I Paesi arricchitisi grazie alle proprie risorse petrolifere stanno chiaramente costruendo economie e strutture sociali su una ricchezza non rinnovabile. Ma il mondo intero sta agendo allo stesso modo, in particolare per quanto riguarda l’agricoltura. Le conseguenze sociali, politiche e economiche di questo fatto sono enormi.
Una situazione insostenibile
Con l’attuale velocità di incremento della popolazione, quando le riserve petrolifere saranno sostanzialmente esaurite, la popolazione mondiale sarà sostanzialmente maggiore di quella attuale, forse anche il doppio di quanto è oggi [l’Italia non si senta esclusa: a causa dell’immigrazione, regolare e non, la popolazione presente sul territorio nazionale aumenta ogni anno da 150.000 a 200.000 individui, in un contesto già fortemente sovrappopolato - N.d.T.]. La conclusione inevitabile è che, nei termini degli standard di vita e di disponibilità di cibo attuali, la situazione non sarà più sostenibile(Pimentel & Giampietro, 1994a, p. 250). In una successiva, meglio quantificata, affermazione, Pimentel e Pimentel (1996) sostengono:
Anche triplicare le forniture alimentari nei prossimi quarant’anni sarebbe appena sufficiente a bilanciare le esigenze alimentari di base degli 11 miliardi di persone che abiteranno il pianeta in quel momento. Ottenere questo risultato richiederebbe un incremento di dieci volte nella quantità di energia impiegata nella produzione del cibo. Il maggior impiego di energia per incrementare la crescita nella produzione alimentare è richiesto per superare il progressivo declino nei raccolti dovuto all’erosione e ai danni indotti dai parassiti” (p. 291).
Quasi tutta l’energia che Pimentel e Pimentel affermano che sarebbe necessaria, dovrebbe provenire dal petrolio e dal gas naturale. Per questo, la relazione che esiste tra la popolazione e le risorse petrolifere e di gas non è esagerata. Il petrolio e il gas si esauriranno. Anche se il risparmio e altre misure, nel migliore dei casi, potrebbero ridurre la domanda, non è probabile che ciò allontani in modo significativo il momento in cui l’esaurimento si verificherà, e la stessa riduzione della domanda pare improbabile a fronte delle esigenze alimentari sempre maggiori di una popolazione in crescita. La riduzione della popolazione umana sarà provocata solo dalla carenza delle scorte disponibili.
Il paradigma post-petrolifero
È difficile immaginare nel dettaglio un mondo senza petrolio, ma alcuni aspetti del paradigma post-petrolifero possono essere previsti con un certo grado di sicurezza.
Dovranno essere impiegate tutte le fonti di energia economicamente possibili, ma sostituire il petrolio nella sua grande versatilità probabilmente non sarà completamente possibile. Sostituire il ruolo del petrolio e del gas insieme nella produzione agricola sarà il problema maggiore, e potrebbe trattarsi di un problema non completamente risolvibile.
La popolazione mondiale dovrà essere resa compatibile con minori quantità di cibo per mezzo di una sua riduzione. Pimentel e Pimentel (1996) affermano: “…le nazioni del mondo devono sviluppare un piano per ridurre la popolazione globale dai quasi sei miliardi di oggi [nel 1996… oggi la popolazione ammonta già a circa 6.380.000.000 persone - N.d.T.] a circa due miliardi [comunque troppi… - N.d.T.]. Se l’uomo non sarà in grado di controllare l’entità numerica della propria popolazione, ci penserà la natura. “Dal momento che arrestare e far tornare indietro il treno della crescita della popolazione è un qualcosa che può essere fatto solo gradualmente, questo è un processo che dovrebbe essere avviato ora (Cohen, 1995). Se ciò non verrà fatto, è probabile che si verifichi una carestia su larga scala.” [Da quando Cohen sosteneva questa tesi, sono già passati altri 8 anni, pari a circa 650.000.000 persone aggiunte alla popolazione globale: nulla è stato fatto, a parte discutere - N.d.T.]
L’eccellente mobilità personale di quelle persone ora abbastanza fortunate da godere dell’uso di automobili ed aeroplani dovrà essere ridotta notevolmente.
Lo stile di vita delle nazioni ad alto consumo energetico dovrà essere reso più semplice. Le nazioni che non godono della possibilità di un tale impiego di energia hanno meno da perdere e potrebbero non essere costrette a vivere così grandi cambiamenti.
L’attenzione della società nel suo complesso dovrà essere rivolta molto più verso l’assicurare le basi dell’esistenza di quanto non accada oggi, in particolare le società ricche nelle quali l’abbondanza è considerata come garantita e la bella vita vissuta di conseguenza.
Scienziati, economisti, sociologi e studiosi di scienze politiche saranno sempre più preoccupati dagli effetti dell’esaurimento del petrolio. Il mitigare le tensioni sociali ed economiche avrà la massima priorità.
La realtà
Raggiungere e superare il picco della produzione petrolifera mondiale sarà il più importante evento nella storia umana moderna, poiché interesserà più persone in più modi di qualsiasi altro evento. Succederà, e nell’arco dell’esistenza della maggior parte della gente oggi in vita.
Il picco in rapido avvicinamento e quindi il declino irreversibile della produzione petrolifera non è un mito. Fino al 1998, l’Agenzia Internazionale dell’Energia non ha mai previsto un picco nella produzione petrolifera mondiale. Ma in marzo, nel corso del convegno dei ministri dell’energia del G8, L’IEA affermò che è probabile che un picco nella produzione petrolifera mondiale si verifichi tra il 2010 e il 2020. Questo fatto è coerente con altre recenti stime già citate. Forse questo preannuncio riceverà ora la seria attenzione che merita pienamente. Fino ad ora i circoli politici hanno generalmente ignorato questo argomento. I governi hanno una vista molto corta.
I limiti delle scienze e della tecnologia
La società attuale sembra essere giunta alla comoda conclusione che nessun grave problema potrà mai toccarci. L’idea che “gli scienziati penseranno a qualcosa” è un comune placebo popolare a causa del quale i fatti vengono ignorati. Qualcosa interverrà a porre rimedio?
Pimentel e Giampietro (1994b) hanno avvisato:
“La tecnologia non può sostituire risorse naturali essenziali quali il cibo, le foreste, il terreno, l’acqua, l’energia e la biodiversità… dobbiamo essere realisti per quanto riguarda ciò che la tecnologia può o non può fare per aiutare gli uomini a nutrirsi e a procurarsi altre risorse essenziali” (p. 250).
Bartlett (1994) ha osservato la compiacenza generale circa il futuro, e scrive:
“Ci saranno sempre ottimisti tecnologici popolari e persuasivi che credono che la crescita della popolazione sia un bene e che la mente umana abbia possibilità illimitate nel trovare soluzioni tecnologiche a tutti i problemi di sovraffollamento, distruzione ambientale e carenza di risorse. Questi ottimisti tecnologici non sono solitamente né biologi né fisici. I politici e gli affaristi tendono ad essere ferventi discepoli degli ottimisti tecnologici” (p. 28).
Ciò che intende Bartlett è che “Noi scienziati potremmo NON essere in grado di escogitare qualcosa di risolutivo”.
Per esprimersi in modo sgarbato, la scienza e la tecnologia non possono indefinitamente salvare la specie umana dai guai nei quali si va a cacciare -- il più grave dei quali è ora la quantità di popolazione, la sua crescita esponenziale e il modo in cui essa potrà essere sostenuta in futuro.
Ricchezza ragionevole: quanta gente?
Il dibattito sulla data del picco nella produzione petrolifera dovrebbe essere secondario. Le preoccupazioni dovrebbero essere indirizzate al fatto dell’avvicinamento del paradigma post-petrolifero e verso lo sviluppo di programmi tanto sociali quanto economici che consentano alla specie umana di sopravvivere ad esso con un ragionevole grado di ricchezza. Il grado di ricchezza è importante, e quindi le dimensioni della popolazione dovrebbero essere d’ora in poi definite non come quanta gente il mondo sia in grado di sostenere, ma di quanda gente il mondo dovrebbe sostenere. Sono state fatte diverse stime, e c’è accordo tra gli scienziati nell’indicare che la cifra sia considerevolmente inferiore alle dimensioni della popolazione odierna [a costo di rendermi noioso, faccio ulteriormente notare che l’articolo risale a quando la popolazione mondiale assommava a circa mezzo miliardo di persone in meno rispetto ad oggi - N.d.T.].
I mezzi sociali ed economici per ottenere il necessario ridimensionamento senza piombare nel caos, non rientrano tra le competenze dei geologi, dei chimici o dei fisici. Si tratta di questioni sociali, economiche e politiche. Chi detiene il potere deve dapprima riconoscere i fatti, quindi portare i fatti a conoscenza della gente comune, e quindi provvedere affinché si dia l’avvio ad azioni logiche. Ciò che deve essere posto in essere è una “volontà di fare” globale [in assenza di una linea di azione globale, sarebbe almeno opportuno l’avvio di azioni locali la cui somma, per forza di cose, darebbe comunque un risultato anche a livello globale; nascondersi dietro l’assenza di una politica globale è un troppo facile alibi, fin troppo sfruttato fino ad oggi - N.d.T.]. Ci troviamo tutti sullo stesso pianeta sovrappopolato in modo insostenibili e facciamo tutti parte della stessa popolazione in continua crescita.
Quadro conclusivo
In un libro rimarchevolmente attento, Il prossimo milione di anni, scritto nel 1952, Charles Galton Darwin descrive i cambiamenti storici nella condizione umana, chiamandoli “rivoluzioni”. Egli afferma che è chiaramente in vista un’altra rivoluzione:
“La quinta rivoluzione si avrà quando avremo utilizzato le riserve di carbone e di petrolio che si sono accumulate sulla Terra durante centinaia di milioni di anni…, è ovvvio che ci sarà una grandissima differenza nei modi di vivere…, un uomo deve modificare in modo considerevole il proprio modo di vivere quando, dopo aver vissuto per anni sul proprio capitale, improvvisamente scopre che deve guadagnarsi tutto ciò che intende spendere… Il cambiamento può essere chiamato pertinentemente rivoluzione, ma differisce da tutte le rivoluzioni precedenti per il fatto che non c’è alcuna probabilità che possa condurre ad una crescita della popolazione, quanto piuttosto al suo contrario” (p. 52).
Kennedy (1993) riassume preoccupazioni e speranze per quanto riguarda il futuro:
“Ciò che è chiaro è che mentre ci lasciamo indietro la Guerra Fredda, non ci troviamo di fronte un “nuovo ordine mondiale” ma un pianeta diviso e tormentato, i problemi del quale meritano la seria attenzione tanto dei politici quanto della gente comune… La velocità e la complessità delle forze che portano al cambiamento sono enormi e spaventose; eppure può essere ancora possibile per uomini e donne intelligenti condurre le proprie società nel complesso compito di prepararsi al nuovo secolo [quello già iniziato… - N.d.T.]. Se queste sfide non vengono accettate, ad ogni modo, l’umanità dovrà lagnarsi solo con se stessa per le grane ed i disastri che potrebbe trovarsi a dover fronteggiare” (p. 349).
“I fatti non cessano di esistere perché vengono ignorati.” | |
Aldous Huxley |
Note a pie’ di pagina
[1] | Per calcolare i tempi di raddoppio in anni, immettete il tasso percentuale di crescita (I) nella formula 70/I = anni. |
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Walter Youngquist, Consulting Geologist
Dr. Youngquist, P.O. Box 5501, Eugene, OR 97405
Traduzione di Aldo Carpanelli, pubblicata anche su Il sito di Carpanix
La versione originale inglese è visibile su www.oilcrash.com