Limiti alla crescita?

Venticinque anni fa (nel 1972) apparve un libretto che destò innumerevoli polemiche e discussioni: redatto a cura del Club di Roma, allora presieduto da Aurelio Peccei, il libro era intitolato: "I limiti alla crescita", ma apparve nella traduzione italiana con l'errato titolo: "I limiti dello sviluppo".

In quel 1972, nella breve stagione della primavera dell'ecologia, in tutto il mondo ci si chiedeva che fine avrebbe fatto la Terra con una popolazione (allora di 3.700 milioni) che aumentava di mille milioni di persone ogni decennio, con un crescente sfruttamento delle foreste, delle riserve di acqua, minerali, fonti di energia, con un crescente inquinamento dell'aria e dei fiumi e del mare.
Gli studiosi di ecologia, che la nuova ondata di contestazione, "ecologica" appunto, costringeva ad uscire dal silenzio dei loro laboratori scientifici, spiegavano che ogni ecosistema, e tale è il nostro pianeta, ha una capacità ricettiva limitata - una limitata "carrying capacity" per gli esseri viventi e per i loro escrementi e scorie. Tale capacità ricettiva stava rapidamente diminuendo in seguito all'immissione di scorie "extranaturali", artificiali, come pesticidi, materie plastiche, rifiuti radioattivi, veleni industriali.

Fino a quando la Terra avrebbe potuto sopportare la presenza di questo "biotipo" devastante, rappresentato dagli individui delle arroganti società dominate dalla produzione di merci e di rifiuti ? Il libro del Club di Roma spiegava che, se non si fossero posti dei "limiti alla crescita" della popolazione terrestre e della produzione di merci e di scorie, l'umanità arebbe andata incontro a guerre, epidemie, catastrofi ecologiche.

Figurarsi ! Economisti e sociologi, cattolici e marxisti, biologi e specialisti di computers, si dettero da fare per ridicolizzare e demolire un messaggio che circolava in milioni di copie in tutte le lingue. Non era la crescita economica il vero dio della modernità, e il prodotto interno lordo il suo profeta ? Sta di fatto che nei venticinque anni passati [l'articolo è stato scritto nel 1997] molte delle "profezie" del libro sui "limiti alla crescita" si sono avverate. Ci sono state tre guerre per il petrolio, innumerevoli guerre locali e rivoluzioni per la conquista delle riserve scarse di rame, di acqua, di cromo (chi si ricorda che la piccola Albania è il sesto produttore mondiale di minerali di cromo ?), di tungsteno, di fosfati, di gomma, eccetera.

Ci sono state catastrofi ecologiche che hanno gettato lo spavento sul mondo, ma soprattutto ci sono lente continue contaminazioni destinate a fare sentire i loro effetti a lungo in futuro: l'avvelenamento delle acque con pesticidi, le montagne di rifiuti tossici, le modificazioni chimiche dell'atmosfera con le loro conseguenze sul clima planetario, l'esplosione delle megalopoli, l'aumento degli anziani nei paesi industriali e l'aumento della pressione migratoria dal Sud del mondo verso le (apparentementemente) opulente società del Nord del mondo, traboccanti di merci e luci --- e violenza.

Fino a quando potremo andare avanti ? Un libro ("Il ventinovesimo giorno") che circolò molti anni fa, spiegava che la crisi degli ecosistemi si avvicina lentamente, in maniera quasi impercettibile e poi esplode improvvisamente.

Non so (anche se ne dubito molto) se le virtù del libero mercato, adottate anche dai paesi ex comunisti, in via di diffusione anche nei paesi oggi poveri, possano far fronte ai problemi di scarsità dello spazio, delle risorse naturali, dell'istruzione, del lavoro.

Credo comunque che sarebbe utile rileggere, a un quarto di secolo di distanza, il libro "I limiti alla crescita", per riconoscere, al di là di alcune grossolane approssimazioni, il suo contenuto profetico, anche alla luce dei mutamenti geopolitici e tecnologici che si sono verificati in questo periodo.

L'operazione potrebbe spingere cittadini e governanti a riprendere il gusto di condurre analisi sul futuro economico, ecologico, merceologico, della comunità umana. Il potere economico e politico non desidera affatto questa operazione che finirebbe per mettere in dubbio e in discussione le sue scelte. Eppure una coraggiosa ricerca sul futuro --- non su quello promesso da innumerevoli ciarlatani, maghi e mercanti di illusioni e di sogni --- aiuterebbe a capire quali bisogni occorre soddisfare, con quali merci e processi produttivi, come far crescere le città, come ricostruire un senso di comunità e solidarietà locale, continentale e planetaria, come garantire un genuino "sviluppo".