UN DURO COLPO

di Paul Krugman traduzione italiana di Aldo Carpanelli

 

Pubblicato il 14/05/2004 su “New York Times”

[Il titolo originale, “A Crude Shock”, proponeva un gioco di parole intraducibile che può essere spiegato riportando il fatto che in inglese “crude” significa contemporaneamente “petrolio greggio” e “duro, brutale”; anche “shock” ha una miriade di significati, per cui il doppio senso ne risultava fortemente enfatizzato - N.d.T.]

Fino ad ora, la crisi petrolifera mondiale attuale non sembra per nulla alle crisi del 1973 o del 1979. Questa è la ragione per la quale fa tanta paura.

Le crisi degli anni ‘70 cominciarono con grandi interruzioni delle forniture: l’embargo petrolifero arabo successivo alla guerra arabo-israeliana del 1973, e la rivoluzione iraniana del 1979. Questa volta, nonostante il caos in Iraq, non è ancora nulla di simile... per ora. Ciononostante, a causa della crescente domanda indotta dai sempre maggiori consumi cinesi, il mercato petrolifero mondiale è già teso come una corda di violino, e i prezzi del greggio sono di dodici dollari al barile superiori di quanto non fossero un anno fa. Che accadrebbe se qualcosa dovesse veramente andare male?

Consentitemi di metterla diversamente: l’ultima volta che i prezzi sono stati così alti, in corrispondenza della Guerra del Golfo del 1991, c’era un notevole margine di produzione nel mondo, per cui c’erano gli spazi per affrontare una importante interruzione delle forniture qualora si fossero verificate. Questa volta non è così.

L’Agenzia Internazionale per l’Energia (IEA) stima i margini della produzione petrolifera mondiale in circa 2,5 milioni di barili al giorno, quasi interamente nella regione del Golfo Persico. Essa predice anche che la domanda globale di petrolio nel 2004 sarà, in media, di 2 milioni di barili al di sopra di quella del 2003. Ora, immaginate cosa accadrebbe se si verificassero ancor più attacchi ben riusciti agli oleodotti iracheni da parte dei guerriglieri o, non sia mai, una qualche instabilità in Arabia Saudita. Nei fatti, anche senza una interruzione delle forniture, è difficile immaginare da dove verrebbe il petrolio necessario per soddisfare una domanda in crescita.

Ma, un momento: le leggi fondamentali dell’economia dicono che i mercati sono in grado di far fronte agevolmente ad una domanda che eccede l’offerta. I prezzi salgono, i produttori sono incentivati a produrre di più mentre i consumatori sono incentivati a consumare di meno, e il mercato ritorna ad una condizione di equilibrio. Non sarà anche il caso del petrolio?

Certo, sarà così. La domanda è quanto tempo ci vorrà e di quanto saliranno i prezzi nel frattempo.

Per rendervi conto del problema, pensate alla benzina. Prezzi della benzina elevati portano ad automobili che consumano meno carburante: nel 1990, il veicolo americano medio percorreva il 40% di strada in meno per ogni litro di benzina rispetto al 1973. Ma sostituire le vecchie automobili con altre nuove, richiede anni [e, aggiungo io, costruire quelle auto richiede energia, ancor più energia di quanta se ne sprechi tenendosi le vecchie auto meno efficienti fino alla fine del loro periodo naturale di esercizio - N.d.T.]. Nella fase iniziale della sua reazione a una diminuzione delle forniture di benzina, la gente deve risparmiare carburante guidando di meno, cosa che fanno solo di fronte a prezzi molto, molto alti. Per questo, ci ritroveremo ad avere prezzi molto, molto alti.

Aumentare la capacità produttiva richiede tempi ancora più lunghi che sostituire le vecchie auto. Inoltre, la scoperta di nuovi giacimenti importanti è diventata sempre più rara (sebbene nell’ultima colonna sull’argomento abbia dimenticato due grandi giacimenti del Kazakhistan, uno scoperto nel 1979 e l’altro nel 2000).

Gli ingegneri petroliferi continuano a spremere sempre più petrolio dai giacimenti conosciuti ma sembra improbabile che si riverifichi quanto accadde dopo il 1973, quando ci fu una grande crescita della produzione da parte dei Paesi non aderenti all’OPEC.

Quindi, i prezzi del petrolio rimarranno elevati e potrebbero crescere ancora di più anche in assenza di altre cattive notizie dal Medio Oriente. E se queste cattive notizie arrivassero, ci troveremmo di fronte ad una vera crisi, una crisi che potrebbe portare a una quantità di danni economici. Ogni 10 dollari di crescita del prezzo al barile del petrolio corrisponde a 70 miliardi di dollari in più di tasse imposte ai consumatori americani, sotto forma di perdite dovute ai processi inflattivi. L’impennata dei prezzi alla produzione dell’ultimo mese è stato un assaggio di ciò che accadrà se i prezzi restano alti. Ad ogni modo, dopo la rivoluzione iraniana del 1979, i prezzi scesero raggiunsero circa i 60 dollari al barile, rapportati al valore attuale della valuta.

Uno shock petrolifero, potrebbe veramente portare a una stagflazione [una combinazione di inflazione e disoccupazione crescente] sullo stile di quella degli anni ‘70? Be’, ci sono molti fattori incoraggianti, motivi per i quali siamo molto meno vulnerabili oggi di quanto fossimo durante la scorsa generazione. Nonostante la diffusione dei SUV [quelle gigantesche quanto inutili automobili fuoristrada così in voga anche qui da noi - N.d.T.], gli Stati Uniti consumano solo la metà circa di petrolio per ogni dollaro di PIL rispetto al 1973. Inoltre, negli anni ‘70, l’economia era predisposta ad un’impennata dell’inflazione: dato che i contratti di lavoro venivano adeguati all’andamento del costo della vita e l’inflazione precedente, gli aumenti del prezzo del petrolio alimentarono rapidamente una ripida spirale dei prezzi. È meno probabile che una cosa simile accada oggi.

Nonostante questo, se si verifica una importante interruzione nelle forniture, il mondo dovrà andare avanti con meno petrolio, e il solo modo in cui potrà farlo nel breve periodo è un rallentamento dell’economia. Una recessione indotta dalla carenza di petrolio non sembra per nulla lontana.

Complessivamente, è un momento inopportuno per mettere in atto una politica estera che prometta una trasformazione radicale della situazione in Medio Oriente, figuriamoci per condurre la questione in modo così raffazzonato.