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La Gazzetta del Mezzogiorno, 6 dicembre 1991

 

 

La rivisitazione dei "Limiti alla crescita"

 

 

Giorgio Nebbia <nebbia@quipo.it>

 

 

Meadows: chi era costui ? Per chi si occupava di problemi ecologici venti anni fa questo nome è legato ad una interessante avventura culturale, all'introduzione, nella cultura economica e politica del tempo, della nozione di "limite".

 

Nel 1968 un gruppo di scienziati, uomini politici ed economisti costituì, per iniziativa di Aurelio Peccei, il "Club di Roma" allo scopo di studiare le sfide che aspettavano l'umanita' e i modi per farvi fronte. Che cosa sarebbe successo se fosse continuato l'aumento della popolazione, dell'inquinamento, dell'impoverimento delle riserve di petrolio e di foreste ?

 

Alcune previsioni furono chieste ad un gruppo di studiosi, fra cui i coniugi Meadows, allora trentenni, ricercatori al Massachusetts Institute of Technology. Essi elaborarono un "modello globale" del futuro dell'umanità i cui risultati furono pubblicati, per conto del Club di Roma, nel 1972, nel libro intitolato: "I limiti alla crescita". La traduzione italiana apparve nello stesso anno col titolo: "I limiti dello sviluppo".

 

L'opera suscitò infinite polemiche che il prof. Meadows, ora cinquantenne, ha rievocato nei giorni scorsi [dicembre 1991] a Roma nella "Conferenza Aurelio Peccei", nel settimo anniversario della morte del fondatore del Club di Roma [1984]. Il libro, che merita di essere letto a venti anni di distanza dalla sua pubblicazione, conteneva alcuni concetti abbastanza precisi. "Se" fossero continuati l'aumento della popolazione e la produzione di merci e il relativo inquinamento, al ritmo degli anni sessanta, la crescente richiesta di prodotti agricoli avrebbe portato all'impoverimento della fertilita' del suolo e alla distruzione delle foreste, le riserve di petrolio si sarebbero fortemente ridotte, l'inquinamento avrebbe provocato malattie e epidemie, si sarebbe andati incontro a lotte e guerre e migrazioni per la conquista delle risorse naturali scarse. Fino ad arrivare, forse, nel ventunesimo secolo, ad una forzata diminuzione della produzione e del consumo di merci, ad una violenta diminuzione della popolazione e ad un successivo riequilibrio delle tensioni e della disponibilità di risorse naturali.

 

Per evitare tali catastrofi si sarebbe dovuto intraprendere azioni politiche ed economiche per porre dei "limiti alla crescita" della popolazione mondiale, della produzione di merci, della ricchezza monetaria. Queste previsioni, elaborate sulla base di alcuni modelli utilizzati nei calcolatori elettronici, suscitarono infinite critiche. Secondo alcuni i modelli erano troppo grossolani da giustificare le nere previsioni; un economista scrisse che il calcolatore gridava "al lupo al lupo", ma che il lupo non sarebbe mai arrivato. Secondo altri le forze del libero mercato sarebbero state in grado di far fronte ai problemi di scarsita' delle risorse naturali. I cattolici riconobbero nelle previsioni del Club di Roma lo spettro di Malthus e il pericolo di una campagna di limitazione delle nascite. Alcuni marxisti scrissero che l'avvento di una società comunista pianificata avrebbe allontanato i pericoli di scarsità. Altri ancora rilevarono che la crescita materiale era distribuita in modo ben diverso fra i paesi ricchi e quelli poveri e che prioritaria era una più equa distribuzione della ricchezza.

 

Qualche studente universitario intraprendente potrebbe preparare una bella tesi di laurea sull'interessante dibattito di quei primi anni settanta del Novecento.

 

A venti anni di distanza ci si può chiedere se le previsioni del libro del Club di Roma erano davvero catastrofiche e insensate o se esse contenevano qualche avvertimento valido ancora oggi. Le varie crisi petrolifere che si sono succedute nel 1973, nel 1979, nel 1983, nel 1990, hanno mostrato che effettivamente la scarsità di petrolio nel mondo può provocare tensioni economiche, politiche e militari, non certo attenuate dall'illusione dell'energia infinita e a basso prezzo che sembrava offerta dalla fissione (o dalla fusione) nucleare. Simili crisi, anche se meno vistose agli occhi dell'opinione pubblica, si sono avute per altri materiali strategici.

 

Ci sono oggi dei paesi in cui i raccolti agricoli vengono distrutti e la produzione agricola viene fermata, per ragioni "economiche", ma nello stesso tempo ci sono centinaia di milioni di persone che soffrono la fame e che si presenteranno, prima o poi, gentilmente o violentemente, nei paesi oggi ricchi a reclamare la loro parte almeno di cibo.

 

Nei venti anni dal 1972 al 1992 la popolazione mondiale è aumentata di circa due miliardi di persone, da 3500 a circa 5500 milioni di individui; l'aumento si è avuto prevalentemente nei paesi sottosviluppati.

 

L'aumento delle conoscenze scientifiche, nei passati venti anni, ha mostrato che i pericoli di degrado ambientale sono ancora superiori a quanto prevedibile nel 1972: si sono aggiunti i pericoli della diffusione dei pesticidi, l'aumento delle scorie radioattive in circolazione nel mondo, le modificazioni climatiche rese possibili dall'aumento della concentrazione di anidride carbonica e metano nell'atmosfera, eccetera.

 

Nella sua conferenza a Roma il prof. Meadows ha annunciato la pubblicazione l'anno venturo [questo articolo è stato scritto nel 1971] --- in coincidenza con il ventesimo anniversario della comparsa del libro "I limiti alla crescita" --- di un nuovo libro: "Al di la' dei limiti alla crescita", che apparirà in coincidenza con la conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro su "Ambiente e sviluppo".

 

Meadows ha sottolineato che, allora come oggi, il dibattito riguarda i "limiti alla crescita" e non "i limiti dello sviluppo" (l'improprio titolo della traduzione italiana del libro del Club di Roma). Non ci sono, infatti, limiti allo sviluppo inteso come soddisfacimento dei bisogni umani di liberta' dal biosogno e dalla fame, di diritto delle donne e degli uomini alla pari dignita' e al lavoro, all'istruzione e alla salute.

 

Sono inevitabili, invece, dei limiti alla crescita, intesa come possesso di merci, spesso inutili, intesa come aumento della popolazione, essendo insostenibile l'attuale ritmo di aumento del numero di terrestri in ragione di novanta milioni di persone all'anno. E' insostenibile l'attuale sfruttamento del terreno agricolo e delle foreste, delle fonti energetiche e dei minerali, da parte di una minoranza di terrestri che lasciano la maggioranza --- i 4000 milioni di abitanti dei paesi sottosviluppati - in condizioni inaccettabili di poverta' e di arretratezza. Nella sua conferenza di Roma, Meadows ha rilanciato la necessità di raggiungere uno "stato stazionario", il che non vuol dire congelare le attuali differenze e discriminazioni fra ricchi e poveri: l'idea di uno stato stazionario fu formulata, forse per la prima volta, nel 1848 dall'economista inglese Stuart Mill che spiegò che una condizione stazionaria di ricchezza e di popolazione non implica "uno stato stazionario di miglioramenti umani; vi sarebbe sempre un altro scopo per ogni specie di cultura mentale e per i progressi morali e sociali".

 

Solo il raggiungimento di uno stato stazionario di popolazione e di consumi materiali può assicurare quello "sviluppo sostenibile" di cui tanto si parla (un recente libro con questo titolo è stato pubblicato dalle Edizioni Cultura della Pace di Fiesole) e che presuppone dei profondi cambiamenti nei rapporti fra i popoli, nei rapporti fra gli esseri umani all'interno di ciascun paese e nei rapporti fra gli esseri umani e gli oggetti materiali. Del resto nell'enciclica papale "Centesimus annus" si fa più volte riferimento alla necessità di cambiare gli "stili di vita" per arrivare ad un riequilibrio fra le diversità esistenti fra i vari popoli, fra ricchi e poveri. Uno stato stazionario dei consumi e della popolazione può essere raggiunto con decisioni democratiche o presuppone un governo autoritario, eventualmente un governo autoritario mondiale ? E ancora: questa profonda rivoluzione è possibile in una società di libero mercato, basata, per definizione, sull'aumento della ricchezza monetaria, cioè sulla produzione e sul consumo di quantità sempre crescenti di merci, e quindi sulla crescente produzione di scorie e rifiuti, sul crescente sfruttamento delle risorse naturali, e, infine, anche sul crescente sfruttamento di alcuni paesi da parte di altri ?

 

La risposta non è facile. Meadows, nella sua conferenza di Roma ha sostenuto in modo convincente che il profondo cambiamento imposto dall'attuale situazione richiede una maggiore quantità di democrazia, più che decisioni autoritarie, ma che le scelte democratiche verso una società sostenibile presuppongono una profonda e continua azione educativa, di propaganda, nelle scuole, nelle Università, nelle associazioni religiose e politiche.

 

Occorrono anche soluzioni tecniche, senza dubbio, dalla depurazione degli scarichi e dei rifiuti, all'uso di risorse energetiche rinnovabili, a progressi per l'agricoltura nei paesi poveri, alla utilizzazione delle eccedenze agricole. La tecnica deve essere però socialmente orientata e soprattutto deve essere capace di guardare ai bisogni umani e al futuro, a differenza dell'attuale tecnologia che è orientata alla massimizzazione del profitto economico a breve termine.

 

Eppure la soluzione --- o anche solo la conoscenza e consapevolezza --- dei grandi problemi, planetari, nazionali e individuali che abbiamo di fronte, aiuta a diffondere una nuova maniera di pensare al futuro, contribuisce a far salire una nuova ondata di entusiasmo, di solidarietà, di speranza.

 

So bene che ad alcuni lettori queste considerazioni possono apparire utopistiche, soprattutto in un momento come l'attuale in cui sembra che la visione dell'immediato domani sia l'unico riferimento, in cui sembrano dominare l'incertezza, l'egoismo, lo scoramento, la sfiducia.