Gli hedge fund si convertono in moderatori del prezzo del petrolio?

 

 

di Rocki Gialanella

22 febbraio 2005

da www.fondionline.it pubblicato su www.aspoitalia.net nel Febbraio 2005 per gentile concessione dell’autore.


(nota: questo articolo, di provenienza da un sito con interessi prevalentemente nel mercato finanziario, arriva a conclusioni molto simili a quelle di un articolo di Ugo Bardi a - la lettura di entrambi questi documenti è consigliata per una migliore comprensione della faccenda).  

 

 

 

Il prezzo del petrolio è salito del 50% in dieci mesi. Durante lo stesso lasso di tempo si è assistito ad una riduzione dell’80% delle posizioni rialziste detenute dai fondi. Alcuni esperti cominciano a pensare che la crescita delle quotazioni sia strutturale e non una mera congiuntura passeggera.


Due mesi fa il future che misura la quotazione del greggio da consegnare in dicembre 2005 quotava 38,5 dollari. Attualmente il medesimo contratto ha raggiunto i 44,8 dollari. Gli analisti assicurano sostengono che la causa che spiega l’ulteriore rialzo del greggio non vada ricercata nel comportamento dei fondi speculativi. Anzi, la maggior parte degli esperti sostiene che i fondi stiano svolgendo un importante ruolo moderatore nel processo di crescita delle quotazioni. Secondo i dati in possesso di Barclays Capital, gli hedge fund sono stati venditori netti di petrolio nel 2004. I responsabili della CFTC, l’organismo che supervisiona il mercato mondiale dei future sulle materie prime, hanno sottolineato che gli investitori non commerciali sono stati protagonisti di una caduta in verticale delle posizioni di acquisto (passate dai 144 milioni di barili di aprile 2004 ai 27,6 milioni del corrente mese).


La forza delle quotazioni ha spinto alcuni gestori a ricostruire posizioni rialziste nel mese di gennaio. Gli hedge potrebbero essere tentati dal ripetere la strategia vincente posta in essere nel corso del primo trimestre del 2004. Secondo gli esperti del settore, quest’ultima eventualità potrebbe trovare spazio solo se il mercato mostrerà una chiara e reale posizione di backwardation. Nel gergo del settore si parla di posizione backwardation quando i prezzi del future sono più bassi di quelli praticati dal mercato. Tale posizione costituisce un forte disincentivo per le corporate petrolifere ad accumulare riserve, visto che in teoria risulta più conveniente ricostituire le scorte nel momento in cui si verifichi una reale necessità di petrolio. Il risultato reale appare molto diverso se si guarda ai mercati. La costante tensione accumulata dal mercato a causa dei timori derivanti dalla paura di non poter far fronte alla necessità di ricostituire le scorte, fa si che le quotazioni si mantengano costantemente elevate.


La situazione inversa viene denominata contango. In quest’ultimo caso, i prezzi dei future sono più alti di quelli di mercato e le imprese optano per l’accumulazione immediata di petrolio per cercare di evitare di dover ricostituire le scorte quando i prezzi saranno più elevati. Secondo gli esperti, il contango si verifica durante le fasi di mercato caratterizzate da una riduzione della domanda per motivi stagionali. Gli analisti sostengono che si tratti di uno scenario che ha elevate probabilità di verificarsi nel corso dei prossimi mesi. Venerdì scorso il barile di brent (petrolio del Mare del Nord) ha chiuso a 46,34 dollari. La quotazione è superiore a quella raggiunta durante l’invasione del Kuwait da parte delle truppe di Saddam nel 1990. Attualmente lo scenario sembra essersi solo parzialmente tranquillizzato in seguito al successo delle elezioni in Iraq.


Gli esperti stanno cominciando a fornire una spiegazione sempre più strutturale del forte rialzo delle quotazioni intervenuto nel secondo semestre del 2004. L’Agenzia Internazionale per l’energia ha stimato che la domanda mondiale di petrolio crescerà del 60% tra il 2002 e il 2030. Il consumo di petrolio dovrebbe seguire lo stesso ritmo della domanda. L’Opec dovrebbe raddoppiare la propria produzione per far fronte a tale incremento del consumo e della domanda. Ma chi sono i principali attori del settore petrolifero?


In primis l’Opec, che raggruppa undici paesi, per la maggior parte islamici, che producono il 62% del petrolio mondiale. L’organizzazione è inoltre l’unica al mondo a poter contare su un eccesso di capacità produttiva. L’eccedenza ammonta a 2,1 milioni di barili al giorno che l’Opec potrebbe decidere di immettere sul mercato in meno di trenta giorni per un periodo di almeno novanta giorni. In secondo luogo gli Stati Uniti. Il gigante nordamericano è il maggior consumatore al mondo con una domanda pari a 20,7 milioni di barili diari – corrispondenti al 24% della domanda globale. Il 27% del petrolio consumato dagli Usa proviene dal Golfo Persico.


Le grandi società petrolifere sono i grandi beneficiari della corsa al rialzo del petrolio. I rialzi sperimentati dalle quotazioni delle più importanti corporate petrolifere in questa prima frazione del 2005 sono sotto gli occhi di tutti: Conoco Phillips (+22%), Exxon (+16%), Royal Dutch (+11,5%) e Total (+9,7%). Total ha annunciato una crescita dei benefici del 44% e un aumento del dividendo pari al 15%. La Russia rappresenta la grande speranza degli Usa per riuscire nell’intento di liberarsi della dipendenza dell’Opec. Il ritmo di espansione della produzione russa è però calato dal +12% del 2003 al +6% di oggi. L’Iraq è l’incognita più misteriosa per il futuro del petrolio. La sua produzione attuale è pari a 1,8 milioni di barili, meno di quanto il paese produceva prima dell’invasione Usa. L’Iraq è fuori dall’Opec fin dal 1990. L’AIE è il guardiano degli interessi energetici dei paesi occidentali. Gli ultimi consigli dell’Aie riguardano la scarsa capacità di raffinazione dei paesi consumatori."