A PROPOSITO DI FOTOVOLTAICO

A cura di Domenico Coiante

 

 

Pubblicato su www.aspoitalia.net

Febbraio 2005

 

 

 

Le questioni dibattute sono due:

 

·       la disponibilità dei terreni per gl’impianti

·       la disponibilità di silicio a basso costo per le celle fotovoltaiche.

 

1.   Disponibilità dei terreni

 

E’ un vecchio argomento che riciccia puntualmente ogni volta che si prova a parlare di fotovoltaico su larga scala. Negli anni ’80, quando ero responsabile per l’ENEA del settore PV, ho seguito uno studio fatto in collaborazione con il PFE del CNR sulla classificazione dei terreni agricoli nell’Italia centro-meridionale ed insulare (quella più assolata). Il risultato dello studio, basato sulle dichiarazioni dei censimenti del 61, del 71 e dell’81, ha evidenziato l’esistenza di oltre 2 milioni di ettari di terreni già coltivati, ma ormai abbandonati perché improduttivi, che avrebbero potuto essere utilizzati per la coltivazione di biomasse. Poiché tali terreni erano stati già coltivati, si tratta di appezzamenti collocati nella zona pedemontana, sicuramente raggiungibili con normali mezzi logistici. Si supponga quindi di “coltivare” con impianti fotovoltaici questi terreni. Con l’attuale efficienza degli impianti (circa il 10%), considerando anche lo spazio tra le file dei pannelli necessario per evitare l’ombreggiamento reciproco, per 1 MW di PV occorrono 2 ha di terreno. In due milioni di ettari, pertanto, sarebbero collocabili 1 milione di MW di fotovoltaico. Alla produttività solare di 1500 ore l’anno, ciò corrisponde alla generazione annuale di 1500 milioni di MWh, cioè 1500 TWh all’anno. Visto il consumo attuale di elettricità di circa 300 TWh l’anno, ciò corrisponde a 5 volte il fabbisogno elettrico nazionale. Se volessimo limitarci soltanto al fabbisogno nazionale, basterebbe utilizzare un quinto di tali terreni, cioè, 400 mila ha, 4000 kmq, ossia l’1.3% del territorio nazionale, quantità del tutto compatibile ed analoga a quella impegnata ogni anno sui terreni agricoli migliori per la coltivazione della colza, del girasole e del frumento.

 

Allora l’argomento della mancanza dei terreni è solamente pretestuoso, mentre il semplice calcolo dimostra oltre ogni dubbio, che non solo esistono i terreni abbandonati, e quindi, a basso costo, per gl’impianti, ma che tali terreni sarebbero anche potenzialmente sufficienti a realizzare l’autonomia elettrica italiana. Ciò è tanto più vero se si considera il fatto che la tecnologia PV è giovane ed in rapido miglioramento, per cui l’efficienza dei sistemi è in continuo miglioramento e con essa viene ridotto l’impegno di territorio.

 

Però attenzione! L’energia elettrica PV è intermittente e quindi non è possibile basare su di essa il sistema di fornitura di elettricità agli utenti. Fare soltanto il conto della disponibilità del terreno non è corretto. Siamo giunti alla solita conclusione: senza un adeguato sistema di accumulo stagionale che completi gli impianti PV, non sarà possibile sfruttare completamente il grande potenziale che abbiamo sopra calcolato. A prescindere dai costi, non è il terreno che limita il ricorso al PV, ma è l’intermittenza il vero limite tecnico alla diffusione del PV su larga scala.

 

2.   Disponibilità di silicio

 

Il silicio usato per le celle fotovoltaiche oggi viene acquistato sul mercato dei monocristalli sviluppati per l’elettronica (silicio electronic grade). Si tratta di materiale chimicamente purissimo al 99,9999%, ma perfetto anche sotto l’aspetto cristallografico. Pertanto esso costa moltissimo. Ciò comporta che il costo attuale delle celle PV è alto e quindi il kWh prodotto è ancora lontano dalla competitività. Si è tentato di abbassare questi costi ricorrendo al cosiddetto silicio solar grade. Si tratta di un materiale policristallino, o meglio semicristallino, ottenuto fondendo gli scarti dei lingotti monocristallini electronic grade e ricristallizzando il materiale in grandi crogioli a raffreddamento controllato in modo da ottenere un materiale contenente una moltitudine di cristalli colonnari. Si noti che dal punto di vista chimico il silicio di partenza è quello purissimo electronic grade ed anche se l’intero processo permette una riduzione dei costi, il silicio solar grade così ottenuto non permette di svincolarsi dalla dipendenza del mercato del silicio per l’elettronica. Pertanto anche il costo degli scarti è ancora troppo alto per permettere l’ottenimento della competitività del kWh fotovoltaico. Per giunta, nel momento attuale del decollo mondiale dei sistemi PV, si sta profilando il problema cosiddetto dello shortage del silicio, anche di quello solar grade.

 

Questo è uno strano argomento per i non addetti ai lavori, perché di silicio nel mondo ce n’è una quantità infinita e così pure è enorme la quantità di silicio prodotto anche in Italia dall’industria metallurgica (silicio detto metallurgico). Pochi sanno che il nostro Paese è uno dei maggiori produttori mondiali di silicio metallurgico con oltre 20000 tonnellate all’anno. Il costo di questo materiale è bassissimo, ma il grado di purezza chimica è pari a circa il 99.5%, ben lontano dalle specifiche necessarie per il PV.

Sempre negli anni 80 già citati, mi è capitato di promuovere come ENEA una ricerca industriale per indagare la possibilità di realizzare un processo alternativo a basso costo che partisse dal silicio metallurgico per arrivare al silicio solare. Dopo alcuni anni di tentativi e di risultati deludenti (l’efficienza ottenuta con il materiale prodotto era intorno al 7%), si riconobbe l’impossibilità di riuscire a purificare con metodi soltanto chimici (e quindi a basso costo) il silicio metallurgico per portarlo al livello di specifica necessario per la cristallizzazione colonnare. La ricerca fu abbandonata, ma comunque fu ottenuto il risultato di mettere a punto un processo di cristallizzazione colonnare, quello stesso che ancora oggi è utilizzato da ENI Tecnologie per fare il silicio di grado solare dagli scarti del silicio elettronico.

 

A questo punto è evidente che non potrà essere il silicio prodotto con le attuali tecnologie e le celle fotovoltaiche da esso derivate a fornire l’alimentazione per il boom dei sistemi PV. Infatti il tentativo che si sta conducendo passa per i materiali semiconduttori composti alternativi al silicio, come il CdTe, il GaAs e il CuInSe, che mostrano il pregio di poter essere utilizzati sotto forma di strati sottili. Tuttavia si tratta di sostanze tutte fortemente tossiche, cosicché non mi sembra che si possa puntare su di esse per le applicazioni su larga scala senza dover pagare un grosso scotto ambientale.

 

Allora che fare?

 

Tutti i maggiori esperti di fotovoltaico concordano sul fatto che il silicio è il materiale ideale sotto il profilo ambientale e che le sue potenzialità non sono state esplorate a fondo. Ad esempio, il prof. Green dell’Università australiana del Nuovo Galles del Sud, che dirige il maggior centro di eccellenza sul fotovoltaico attuale, quello per intenderci che ha ottenuto il record di efficienza del 24% per le celle al silicio monocristallino, sostiene che la linea vincente passa ancora per il silicio, ma utilizzato nell’ambito delle nanotecnologie. Chi volesse avere una maggiore informazione può collegarsi al sito www.pv.unsw.edu.au e scaricare il rapporto annuale sulle ricerche in corso sul fotovoltaico detto di terza generazione. Potrà così apprendere che il silicio può essere deposto in strati sottili a basso costo sotto forma di “granuli” di dimensioni nanometriche, detti “quantum dots” o nanocristalli quantistici. Questo nuovo materiale, non esistente in natura, possiede alcune proprietà optoelettroniche modulabili a piacere con cui diviene possibile sfruttare completamente lo spettro solare (il PV attuale sfrutta soltanto il 40% dello spettro). Il calcolo teorico effettuato su un ipotetico dispositivo fotovoltaico a strati multipli mostra un’efficienza limite del 86.7%. Per confronto lo stesso calcolo dà per le celle al silicio il valore limite del 26%. Sono evidenti le immense possibilità offerte dalle nanotecnologie applicate al silicio.

 

La conclusione è che la tecnologia attuale dei sistemi PV ha messo sul mercato un prodotto affidabile (la garanzia commerciale dei moduli PV al silicio è oggi di 25 anni e le misure fatte sui sistemi in funzione mostrano una vita operativa di oltre 30 anni). Con tale prodotto è possibile iniziare a fronteggiare la sfida ambientale contando sull’apprendimento economico per abbassare i costi, anche sapendo che non sarà possibile per questa via raggiungere la competitività completa (sarebbe ben diverso il discorso se fossero riconosciute le esternalità nel mercato energetico).

 

La prospettiva di miglioramento collegata alle nanotecnologie è talmente attraente da lasciar prevedere l’abbattimento dei costi fino al livello necessario per entrare nell’economia dell’idrogeno, cosa che finalmente permetterà di superare il limite dell’intermittenza, portando il fotovoltaico nel novero delle vere e proprie fonti di energia. Ma questo è un altro capitolo.

 

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