PROSPETTIVE DI POLITICA ENERGETICA IN ITALIA ALLA LUCE DEL DIBATTITO SULLE RISORSE PETROLIFERE MONDIALI

Ugo Bardi
Dipartimentodi Chimica
Università di Firenze
bardi@unifi.it

Maggio 2002

Abstract

Questo testo è inteso come un primo tentativo di analisi delle prospettive energetiche nazionali alla luce del dibattito in corso(inizio 2002) riguardo alla situazione delle risorse petrolifiere mondiali e in particolare riguardo alla possibilità di una nuova crisi energetica a breve scadenza. Per ora il dibattito sembra limitato a specialisti che scrivono su riviste scientifiche internazionali ma è evidentemente essenziale allargarlo anche ad altri settori sia scientifici che politici, specialmente in Italia dove non sembra che finora le ultime previsioni abbiano avuto una risonanza significativa. Tuttavia, data la fortissima dipendenza dal petrolio come fonte energetica in Italia, l'impetto di un aumento dei prezzi potrebbe essere traumatico sul sistema economico. In questo articolo, l'autore suggerisce alcuni "aggiustamenti" alle politiche energetiche seguite finora per ridurre l'impatto di una possibile crisi. La politica seguita finora, che enfatizza il risparmio energetico, rimane valida ma dovrebbe essere corretta mediante una maggiore enfasi sia nella diversificazione della produzione di energia con fonti alternative al petrolio sia nello stoccaggio di energia, usando per esempio l'idrogeno.

Nota n. 1: eccetto dove altrimenti specificato, l'autore ritiene che le figure inquesto articolo siano di dominio pubblico. Se ritenete invece che qualcuna sia coperta da copyright e debba essere rimossa, per favore avvertite l'autore. bardi@unifi.it
Note #1: except where otherwise stated, the figures reported in this paper are believed to be in the public domain. If you think one of these figures is instead copyrighted and that it should be removed, please alert the author. bardi@unifi.it

Nota n. 2. Le opinioni espresse in questo articolo sono unicamente quelle dell'autore e non devono essere considerate come ufficiali del Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze nè di Enti correlati o finanziatori

1. Introduzione

La preoccupazione a proposito di una possibile nuova crisi energetica a breve scadenza è recente, se ne è cominciato a parlare approssimativamente da 4-5 anni e recentemente il dibattito si è fatto particolarmente acceso. In precedenza, passate le crisi degli anni 70, l'opinone generale era rimasta stabilmente improntata all'ottimismo con previsioni di petrolio abbondante ancora per secoli (p. es. Rogner, 1997). Negli ultimi tempi, tuttavia, nuovi dati e nuove procedure di analisi, hanno reso chiaro che la situazione è più complessa e diversificata e che l'ottimismo che derivava da questo tipo di analisi era eccessivo. Per una discussione dettagliata a proposito del dibattito in corso il lettore è invitato a esaminare l'articolo on-line dell'autore "Il dibattito sulla disponibilità di risorse petrolifere". In sostanza, sebbene non sia possibile arrivare a conclusioni sicure, è evidente che siamo di fronte a una possibilità concreta di una nuova crisi petrolifiera (la "transizione petrolifera") entro un tempo che potrebbe essere di soli pochi anni oppure dell'ordine di 1-2 decenni, ma che comunque è molto più breve di quanto non si potesse immaginare solo pochi anni fa.

Questa situazione ha un evidente impatto sulla politica energetica, specialmente in paesi come l'Italia che sono fortemente dipendenti da importazioni di petrolio, dove non è più sufficiente limitarsi unicamente a una politica di risparmio energetico ma dove è vitale cominciare ad affrontare il problema della diversificazione delle fonti di produzione di energia. Questo breve articolo non ha la pretesa di dire niente di definitivo sull'argomento, ma semplicemente di portare il problema all'attenzione generale, anche tenendo conto che non esistono al momento attuale (Maggio 2002) su internet documenti in Italiano su questo argomento. In questo articolo si suggeriscono anche alcune possibili linee di politica energetica come base per una discussione.

2. Il "Picco di Produzione"

Uno degli elementi principali che emergono dal dibattito in corso è che il problema fondamentale che abbiamo di fronte non è la "fine del petrolio". Cosa vuol dire, in effetti "fine del petrolio"? E' ovvio che se mai ci sarà un giorno in cui avremo estratto l'ultima goccia di greggio dall'ultimo pozzo ancora attivo, questo sarà molto tempo dopo il momento in cui il petrolio avrà perso ogni interesse e importanza come fonte di energia. Tuttavia, molti degli studi pubblicati fino ad oggi si basavano proprio su questo vago concetto usando dei modelli molto semplificati. Ovvero, fino a non molto tempo fa, le previsioni erano basate quasi sempre sul concetto del rapporto "riserve/produzione" (R/P). Questo rapporto fornisce un "tempo di vita" delle risorse nell'ipotesi che il consumo rimanga costante e che vengano estratte fino all'ultima goccia. Entrambe le ipotesi non sono realistiche e il metodo non ci da nessuna rispota utile. Il vero problema è un altro: come varieranno i prezzi e la disponibilità del petrolio via via che le risorse vengono sfruttate? Questo è qualcosa che dipende dalla dinamica dei consumi. In generale, sappiamo che la produzione di petrolio mondiale è stata in continuo aumento durante gli ultimi decenni (con l'eccezione di un breve periodo di declino durante le crisi petrolifere degli anni 70). La produzione è tuttora in aumento, ma è ovvio anche che, prima o poi, il progressivo esaurimento dei pozzi dovrà ben portare a un declino. In altre parole, la produzione deve passare per un massimo: il "picco di produzione", detto anche "picco di Hubbert" dal nome del geologo americano M. King Hubbert che negli anni 50-60 aveva per primo studiato questo argomento. Con il suo medello, Hubbert aveva predetto con successo l'andamento della produzione petrolifera negli Stati Uniti, che era passata per il "picco" nel 1972. Secondo Hubbert, la produzione di petrolio segue una "curva a campana" simmetrica, secondo altri autori (p. es. Wood 2002) la curva non è necessariamente simmetrica mentre altri (p. es Duncan 2001) hanno sviluppato specifici metodi euristici per estrapolare le curve di produzione. Il punto cruciale di questa analisi è, comunque, la stima di quando il picco si verificherà, ovvero quando si verificherà quella che viene chiamata la "transizione petrolifera". Nella figura seguente, sono mostrati a titolo di esempio risultati di una delle proiezioni esistenti in letteratura (Ivanhoe), scelta in quanto illustra in modo semplice alcuni degli elementi principali di queste predizioni, ovvero sia l'andamento di crescita seguito dal declino della curva di produzione, sia la corrispondenza scalata nel tempo fra scoperte e produzione



Un gran numero di analisi di questo tipo sono state riportate nella letteratura. Nella tavola seguente riportiamo un sommario dei risultati principali, ovvero la data prevista per il "picco" per gli idrocarburi liquidi (greggio) escludendo la frazione gassosa e gli idrocarburi cosiddettii "non convenzionali" .Dato il valore illustrativo della tabella, l'autore ha cercato di selezionare il dato più "probabile" fra quelli riportati. La tabella tiene conto soltanto di proiezioni recenti (a parte quella di Hubbert che ha valore "storico") che usano metodi evoluti di analisi. Previsioni basate sul vecchio metodo del rapporto "R/P" non sono considerate e del resto non potrebbero fornire un valore di picco.


Autore

Data più probabile per il "picco"

Metodo usato

Riferimento e anno

M. K. Hubbert

2000

Hubbert

www.hubbertpeak.com (1982)

A.A. Bartlett

2004

Hubbert

www.hubbertpeak.com (1994)

L.F. Ivanhoe

2010

Hubbert

www.hubbert.com (1997)

J.C. Edwards

2020

vari

Edwards (1997)

W. Youngquist

2010

Euristico/Hubbert

www.hubbertpeak.com (1998)

C. Wood e J Long

2037

Fitting di esponenziali

http://www.eia.doe.gov/pub/oil_gas/petroleum/presentations/2000/long_term_supply (2000)

R. Deffeys

2003

Hubbert

Deffeys 2001

R.C. Duncan

2006

Euristico

www.hubbertpeak.com (2001)

C. J. Campbell

2003

Hubbert

www.hubbertpeak.com (2001)

J. Laherrere

2005

Comparazione scoperte/produzione

www.hubbertpeak.com (2001)

C. Bentley

2005

Hubbert

Bentley 2001


Questo set di dati non ha la pretesa di essere completo e il lettore è invitato a tener presente che nessun autore riporta una sola data ma un intervallo di date entro le quali ritiene il picco probabile. La tabella ha invece lo scopo di illustrare sia il grado di incertezza in questi studi, sia il generale accordo degli autori nel prevedere il "picco" entro il primo decennio del XXI secolo. Notiamo anche alcuni ulteriori punti a questo proposito: il primo è che gli autori selezionati per questa tabella sono tutti esperti geologi o comunque tecnici con credenziali accademiche e che i dati citati sono apparsi su riviste scientifiche internazionali di buona qualità e prestigio. Ovvero, sono esclusi dalla tabella autori le cui previsioni sono notoriamente "ideologiche" e considerate inaffidabili dalla maggioranza degli esperti (per esempio Simon e Lomborg), gente, per intendersi, che parla di disponibilità di petrolio ancora per "milioni di anni". Allo stesso tempo, sono escluse dalla tabella le previsioni di tipo "millenaristico" come si possono leggere (per altro abbastanza di rado) sui forum sull'argomento (p. es. "energysolutions" su Yahoo). Notiamo inoltre che il dato "fuori dal coro" di Wood e Long (picco nel 2037) è il risultato di un analisi fatta per conto dell'International Energy Agency (IEA) analisi che è stata accusata da più parti di essere stata "gonfiata" per ragioni politiche (p. es. Bentley 2001).

Evidentemente, il nostro interesse nel "punto di picco", ovvero per la "transizione petrolifera" deriva dal fatto che i dati indicano che potrebbe verificarsi entro un decennio o anche entro solo pochi anni, comunque entro l'arco di vita di una maggioranza delle persone viventi attualmente. Tralasciando per il momento la stima della data probabile del picco, concentriamoci invece sui fenomeni di tipo economico e politico che ci aspettiamo di vedere al momento della transizione. Attualmente (prima del picco) le capacità produttive dei pozzi esistenti sono superiori alla domanda. Mentre normalmente i pozzi non medio-orientali operano a piena capacità, gli incrementi di domanda dovuti sia alle fluttuazioni del mercato sia al generale aumento dei consumi sono assorbiti dai cosiddetti "swing producers" (principalmente l'Arabia Saudita e altri paesi medio-orientali). La produzione dei pozzi medio-orientali non è mai a piena capacità ed è attualmente regolata dall'OPEC che gestisce le quantità immesse sul mercato a seconda della necessità. Questo meccanismo ci ha garantito prezzi bassi e stabili durante, approssimativamente, l'ultimo ventennio. Mancano dati sicuri sull'effettiva "overcapacity" dei produttori medio-orientali. Comunque sia, queste sono limitate e il picco di produzione corrisponde al punto in cui il progressivo declino dei pozzi farà si che la domanda superi le capacità di produzione. Dopo la transizione, gli incrementi nella domanda non potranno più essere assorbiti dagli swing producers. Ci aspettiamo di conseguenza che i costi del petrolio aumenteranno, sia per ridurre la domanda, sia per finanziare nuovi pozzi o lo sviluppo di nuove fonti di energia. Queste considerazioni sono intuitive, ma sono comunque confermate dall'analisi di Reynolds (1999). Quasi tutti gli autori che si sono occupati di questo argomento hanno anche ipotizzato instabilità politiche a livello mondiale che si potrebbereo verificare al momento del picco, quando la competizione per il petrolio rimanente potrebbe esplicitarsi non solo in termini economici ma anche militari.

Per concludere questa sezione notiamo che le considerazioni fatte finora riguardano gli idrocarburi fossili intesi come frazione liquida (greggio). Per quanto riguarda le disponibilità di gas naturale, abbiamo curve di produzione simili, ma la disponibilità mondiale di gas è maggiore e di conseguenza il picco corrispondente è spostato in avanti nel futuro. Lo stesso vale per il carbone, le cui disponibilità sono ben più abbondanti di quelle del petrolio. Molta controversia esiste poi sulle disponibilità degli idrocarburi fossili cosiddetti "non convenzionali" (oil shales e tar sands) che sono materiali solidi dai quali si possono ottenere idrocarburi liquidi mediante opportuni trattamenti. E' dubbio che la loro estrazione possa essere energeticamente conveniente, ma se lo fosse avrebbe l'effetto di spostare in avanti il picco di Hubbert degli idrocarburi liquidi. Queste previsioni sono illustrate nella seguente figura secondo Laherrere 2001



3. Conseguenze in Europa e in Italia

Non è possibile oggi (ne probabilmente lo sarà in futuro) provare al di la di ogni dubbio che la "transizione petrolifera" si verificherà entro tempi brevi. Tuttavia è forse il caso di ricordare che è pratica comune e raccomandata agire e progettare tenendo conto della peggiore ipotesi possibile. Ricordiamoci, per esempio, come il disastro dello Space Shuttle "Challenger" sia stato causato dall'aver invertito questa priorità: ovvero aver deciso di lanciare la navetta sulla base della mancanza di "prove certe" che il lancio era pericoloso (invece che, come sarebbe stato corretto, lanciare solo quando esistessero prove certe che non era pericoloso). In quest'ottica, non è sbagliato – anzi è fondamentale - ragionare e pianificare in termini di una possibile crisi imminente. Nell'oggettiva incertezza della situazione, atteggiamenti come quello di Lynch (2002) che invitano sostanzialmente a non fare niente sono fortmente criticabili, per non dire che sono da irresponsabili. Assai più ragionevole è bilanciato è l'atteggiamento di altri, per esempio Bielecki (2001), che pur arrivando alla conclusione che "il lupo non è ancora sulla soglia" raccomanda comunque di prendere precauzioni.

Le conseguenze che potrebbero derivare dalla transizione e dal relativo aumento dei costi del petrolio sono note dall'esperienza passata. L'aumento dei costi del petrolio degli anni 70 aveva generato una crisi economica mondiale, portando disoccupazione, recessione e inflazione a due cifre per almeno un decennio. Oggi, le conseguenze di una nuova crisi sarebbero evidentemente diverse a seconda di vari fattori, includendo il peso economico e militare di un paese, come pure la disponibiltà di sorgenti alternative entro il territorio. Un aumento dei costi del greggio avrebbe conseguenze disastrose per i paesi in via di sviluppo, ma fra i paesi industrializzati alcuni sarebbero colpiti più pesantemente. Per ragioni storiche e geografiche, l'Italia si trova in una condizione particolarmente vulnerabile. In particolare, l'Italia dipende più di altri paesi proprio da quella frazione di combustibili fossili piu a rischio di esaurimento ovvero la frazione liquida (greggio). Nella figura seguente, i consumi totali dalle varie sorgenti sono comparati per l'Italia e per altri due paesi Europei (dati IEA)

Consumi totali di energia, 1999 (fonte IEA)



Nella figura, il consumo di petrolio è evidenziato in rosso. Vediamo come l'Italia dipende per il 54.1% dal petrolio contro il 40.1% della germania e solo il 34.5% della francia. In generale, quasi tutti i paesi industrializzati dipendono dal petrolio meno dell'Italia. Questa situazione è ancora più evidente confrontando i dati per quanto riguarda la produzione di energia elettrica per l'Italia e per la media dei paesi OECD (Organisation for Economic Co-operation and Development) che include la maggior parte dei paesi industrializzati.

Produzione di energia elettrica nel 2000 (dati IEA)


Sorgente

ITALIA

OECD

Petrolio

45.60%

28.00%

Gas naturale

28.10%

15.22%

Carbone

5.60%

14.30%

Combustibili Fossili totali

79.30%

57.50%

Nucleare

-

23.60%

Idro/geo/altro

20.70%

16.10%


3. Prospettive di Politica energetica

Considereremo qui azioni di tipo tecnico e/o tecnologico in relazione ai problemi che abbiamo discussi. Ovvero, non ci occuperemo di prospettive di tipo politico (p. es. l'occupazione militare dei pozzi medio-orientali, argomento attualmente discusso nella stampa internazionale, vedi p. es. Lowry 2001). Allo stesso modo, non discuteremo in dettaglio la posizione di alcuni economisti che sembrano ritenere che il problema si possa risolvere nell'ambito dei meccanismi classici di domanda e offerta, ovvero che non sia necessaria nessuna azione preventiva, ma che basti aspettare che l'aumento dei costi stimoli naturalmente investimenti in nuove trivellazioni e/o nuove tecnologie. Infine, non considereremo posizioni fortemente "ideologiche", tipiche di certi settori del movimento ambientalista che rifiutano a priori ogni soluzione di tipo tecnologico così come quella di alcuni autori (per esempio Simon) che rifiutano il concetto stesso che alcune risorse possano essere limitate. Cio' detto, la discussione che segue è focalizzata alle prospettive in Italia, ma con pochi cambiamenti è valida per il complesso dei paesi industrializzati.

Le soluzioni tecnologiche alla crisi del petrolio sono state ampiamente studiate negli anni '80 a seguito delle crisi energetiche precedenti. A vent'anni di distanza, il progresso della tecnologia ha migliorato i rendimenti di alcune di queste soluzioni, come per esempio le celle fotovoltaiche, e ha ottimizzato soluzioni prima considerate secondarie (per esempio i generatori eolici). Nel complesso, tuttavia, non sono state trovate soluzioni miracolose ed è arguibile che tali soluzioni non esistano, almeno a breve e medio termine. Soprattutto è chiaro che non esistono soluzioni "soft" al problema dell'energia. Tutte le tecnologie oggi disponibili (non escluso il solare) hanno forti impatti ambientali, sono costose, e – nel caso del solare – occupano grandi spazi. Nella ricerca di nuove vie di produzione si tratta di trovare un compromesso fra costi, praticità, impatto ambientale ed altri fattori.

Nel problema che stiamo trattando, uno dei punti cruciali è quello di transizione tecnologica. E' ben nota la difficoltà per le nuove tecnologie di soppiantare vecchie tecnologie per ragioni di investimenti, inerzia dei consumatori, scetticismo, regolazioni governative, eccetera. Questi fattori sono superabili solo quando la nuova tecnologia ha una superiorità tecnica schiacciante rispetto alla vecchia (per esempio dischi CD rispetto a dischi in vinile), oppure costi nettamente inferiori (per esempio tessuti sintetici rispetto a quelli naturali). Solo occasionalmente e con molta difficoltà è possibile spingere il mercato in direzione di una nuova tecnologia per via legislativa, per esempio per ridurre l'inquinamento, come nel caso delle marmitte catalitiche. Tutte queste transizioni richiedono in ogni caso anni e notevoli investimenti. Nel campo energetico si sono verificate due di queste transizioni a livello mondiale, quella da legna a carbone, nel secolo IXX e più tardi quella dal carbone al petrolio. Entrambe hanno richiesto tempi dell'ordine di un secolo per essere completate. Questi dati storici ci danno un idea del tipo di problema a cui ci troviamo di fronte. Una transizione "dolce" dai combustibili fossili a un'altra sorgente (solare o nucleare che sia) richiederà comunque enormi costi e tempi di almeno alcuni decenni. Anche nella più ottimistica delle previsioni di disponibilità di greggio potremmo ottenere una transizione "dolce" solo iniziando adesso. Nel caso delle previsioni meno ottimistiche, qualsiasi cosa si faccia la transizione sarà tutt'altro che dolce, ma sarà in ogni caso meno traumatica se si comincia subito a lavorare su fonti alternative.

Nel pianificare questa transizione dobbiamo in ogni caso tener conto della difficoltà di convincere governi e opinione pubbica a agire con in vista obbiettivi a lunga scadenza. In questo momento, nell'incertezza dei tempi che abbiamo di fronte, l'unica politica possibile in pratica è un' "aggiustamento" delle azioni già in corso contro l'inquinamento e per il raggiungimento degli obbiettivi del trattato di Kyoto. Queste azioni (risparmio energetico, riduzione delle emissioni, introduzione di veicoli a zero emissioni, ecc.) sono, normalmente, già dei passi nella giusta direzione. Tuttavia, una visione più "strategica" della situazione potrebbe portare a certe variazioni delle priorità, e soprattutto a rendersi conto che il puro risparmio da solo non basta a metterci al riparo dalle conseguenze di una crisi del petrolio. Per questo è essenziale impegnarsi anche sulla diversificazione delle fonti energetiche con una specifica enfasi su quelle non basate su combustibili fossili. Le seguenti note devono essere intese solo come un primo tentativo di revisione della situazione con l'obbiettivo principale di stimolare una discussione.

Risparmio energetico. A breve termine rimane un elemento fondamentale nella strategia per ridurre la dipendenza dalle importazioni di greggio e di altri idrocarburi, con il vantaggio di consistere in una serie di metodi noti, a basso impatto ambientale, e di solito ben accetti dall'opinione pubblica. Occorre tuttavia notare che gli investimenti necessari per il risparmio, pur normalmente non elevati, sono comunque non trascurabili e che occorre fare attenzione a non sprecare risorse preziose in transizioni tecnologiche che si potrebbero rivelare controproducenti. Per esempio, sarebbe inutile sprecare risorse per sviluppare autoveicoli a più bassi consumi quando questo viene ottenuto perfezionando motori a combustibili tradizionali a benzina o gasolio. Infatti, il governo americano ha recentemente deciso di interrompere i finanziamenti pubblici per questa linea di ricerca, per concentrarsi invece direttamente sui veicoli alimentati a idrogeno. In termini generali, come già notato prima, occorrerà fare attenzione a bilanciare gli investimenti in modo da non concentrarli tutti solo sul risparmio energetico che, da solo, non è sufficiente

Gas naturale. L'ampio uso di gas naturale in Italia e l'esistenza di un'infrastruttura di distribuzione per veicoli a gas è uno dei pochi punti in cui l'Italia si trova leggermente in vantaggio rispetto agli altri paesi industrializzati. Abbiamo visto come la produzione mondiale di gas naturale (a differenza di quella di greggio) sembra essere ancora lontana dal punto di "picco". Per questo, un uso sempre più esteso di gas ci può aiutare a passare attraverso la transizione riducendo i danni derivanti da un aumento dei costi dei combustibili liquidi. E' ovvio che per l'Italia è un'alta priorità a breve termine incentivare ulteriormente i consumi di gas naturale al posto di quelli di combustibili derivati del greggio.

Carbone. Una sorgente che l'Italia ha praticamente abbandonato. Come abbiamo detto, le riserve di carbone sono molto più abbondanti di quelle del petrolio con il vantaggio di essere presenti in Europa e in genere non localizzate in aree geografiche politicamente instabili. Riadattare alcune delle centrali termoelettriche esistenti per usare il carbone come combustibile richiederebbe investimenti relativamente bassi e potrebbe essere realizzato in tempi ragionevolmente brevi. Il problema con il carbone è che è il combustibile fossile che produce la maggior quantità di biossido di carbonio per unità di energia e quindi da un forte contributo all'effetto serra. Nuove tecnologie di "sequestrazione" del biossido di carbonio potrebbero risolvere questo problema, ma nel futuro potremme trovarci di fronte a una scelta fra mantenere gli impegni del trattato di Kyoto e la necessità impellente di produrre energia dal carbone. Il problema dell'effetto serra, comunque, potrebbe perdere importanza a fronte di una contrazione mondiale dei consumi petroliferi. Come soluzione intermedia, quindi, il carbone potrebbe giuocare un ruolo fondamentale. Su questo punto, uno studio approfondito è stato realizzato recentemente dagli amici della terra

Fonti rinnovabili e assimilate (fotovoltaico, eolico, biomassa, idro, geo, ecc.). Nonostante anni di propaganda favorevole, l'energia solare è rimasta una cenerentola nel quadro energetico mondiale. L'energia solare funziona, ma è costosa e richiede grandi spazi con i relativi impatti visuali e ambientali. E' difficile pensare che l'energia solare possa svilupparsi in modo significativo finchè i prezzi del petrolio rimangono bassi come sono adesso. Ciononostante, per l'Italia il solare è una delle poche alternative realistiche ai combustibili fossili. Un programma aggressivo di sviluppo di fonti solari richierà considerevoli investimenti, con il vantaggio però che questi investimenti sono flessibili e graduabili. Al momento attuale, tecnologie quali l'eolico e la biomassa sembrano le più promettenti. Il fotovoltaico è invece per il momento ancora troppo costoso ma con buone prospettive di un'abbassamento dei costi a medio termine. Per quanto riguarda sorgenti idroelettriche e geotermiche le sorgenti esistenti sono state già ampliamente sfruttate e esistono poche possibilità di ulteriori incrementi. La conclusione è che sono necessarie azioni governative a breve termine per sviluppare l'energia solare in Italia senza aspettare che un aumento del costo del petrolio le renda competitive.

Nucleare. Più di ogni altra fonte, l'energia nucleare è oggetto di atteggiamenti fortemente emotivi. O è vista come il demonio incarnato, oppure come l'unica possibile salvezza dalla "fine del petrolio". Non è nessuna delle due cose: è un sistema di produzione di energia con i suoi vantaggi e svantaggi e con problemi di sicurezza che possono essere risolti, in principio, ma solo a costi molto elevati. Recentemente, si sono udite diverse dichiarazioni a livello governativo riguardo all'opportunità per l'italia di tornare al nucleare dopo la chiusura delle centrali conseguente al referendum del 1987. Il problema qui sta negli enormi investimenti e nel lungo tempo necessario per il ritorno degli investimenti in forma di energia prodotta. Non è chiaro se esistono in Italia le risorse necessari per ripartire con un programma di sviluppo a breve termine di nuove centrali, anche posto che questo lo si possa far accettare all'opinione pubblica. In ogni caso, è noto che le centrali nucleari richiedono tempi di costruzione molto lunghi, nella pratica è difficile pensare che, anche partendo ora, si possa avere un numero significativo di centrali in azione in meno di una ventina di anni. Questa, evidentemente, non sarebbe una soluzione a un aumentoa breve scadenza dei costi del petrolio. Non solo, ma una rinascita su scala mondiale dell'industria nucleare porrebbe problemi di disponibilità di uranio (anche questo una risorsa non rinnovabile) che potrebbero essere risolti solo con la tecnologia dei reattori autofertilizzanti. Oltre ai problemi di ordine geopolitico relativi alla diffusione del plutonio da reattori autofertilizzanti, questa è una tecnologia non completamente provata che richiede comunque ulteriori enormi investimenti. Per questa ragione, il nucleare non sembra al momento attuale una soluzione praticabile in tempi brevi e medi.

Nuovi metodi ad alta tecnologia. Metodi alternativi ad alto contenuto tecnologico sono oggetto di studio da almeno due decenni, fra questi i principali sono la fusione nucleare e la trasmissione di energia da centrali energetiche orbitanti (solari o nucleari). Tutti questi metodi non sono ancora a punto e esistono grandi incertezze sia sulla loro stessa fattibilità sia sui tempi possibili per uno sviluppo pratico. In un ottica che – come abbiamo visto – implica una certa urgenza nel trovare nuove soluzioni, questi metodi sono da considerare di impatto marginale.

Idrogeno. L'idrogeno non è una fonte primaria di energia ma solo un mezzo per immagazzinare energia. Tuttavia nella nuova situazione sembra fondamentale sviluppare questa tecnologia soprattutto per fornire un combustibile pratico per i mezzi di trasporto, alternativo ai derivati degli idrocarburi.

4. Conclusione.

Il referendum sul nucleare del 1987 poteva rappresentare un'occasione favorevole per ripensare a tutta la politica energetica italiana e per convogliare su nuove tecnologie le risorse risparmiate chiudendo le centrali. Questo non è avvenuto e rivedendo la situazione a posteriori era un'utopia: era presumere troppo da governo, industrie e opinione pubblica che si operasse su una visione a lungo termine trascurando i profitti a breve termine. Nella pratica l'effetto del referendum è stato unicamente di sostituire le centrali nucleari con centrali termiche a petrolio, aumentando enormemente la nostra dipendenza dalle importazioni di greggio e rendendoci estremamente vulnerabili alle oscillazioni del mercato e a un possibile aumento dei costi del greggio, aumento che, come abbiamo visto, molti esperti prevedono a breve scadenza.

L'"anomalia italiana" oggi è la dipendenza dal petrolio molto superiore a quella di quasi tutti i paesi industrializzati. A questo punto, un'ovvia priorità per l'Italia è di riportare la nostra struttura per la produzione energetica almeno al livello degli altri paesi OECD. Questo è un compito difficile, ma è ottenibile attraverso azioni che potremmo elencare tentativamente come:

  1. Cambio di "prospettiva" dando importanza a finanziare la produzione di energia da fonti non fossili (e non solo il risparmio, che pure è importante)

  2. Incoraggiamento alla sostituzione del petrolio con altri combustibili fossili, principalmente con gas naturale e secondariamente con carbone, in quest'ultimo caso in dipendenza della possibilità di sviluppare tecnologie di sequestrazione del biossido di carbonio e combustione "pulita"

  3. Potenziamento delle sorgenti rinnovabili, delle quali nell'immediato l'energia eolica e il solare termodinamico sembrano dare il miglior rapporto fra costo di investimento e energia prodotta.

  4. Sviluppo della tecnologia dell'idrogeno che è un'alternativa ai derivati del petrolio soprattutto per i mezzi di trasporto



Ultima modifica: 13 Maggio 2002. Commenti su questo articolo inviati all'autore (bardi@unifi.it) sono apprezzati

Bibliografia

Nota: l'internet è in questo momento pieno di discussioni e documenti sull'incombente prossima crisi del petrolio. Qualsiasi motore di ricerca produrrà abbondante documentazione inserendo i nomi dei principali autori nel campo, per esempio Hubbert, Campbell e Laherrhere, oppure semplicemente combinando le parole chiave "oil" e "depletion". Qui di seguito riportiamo alcune sorgenti bibliografiche "classiche" su carta.

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Bielecki, J. The Quarterly Review of Economics and Finance 42 (2002) 235–250

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