Il Clima e l’Arte della

Conduzione della Motocicletta.

Cause ed Effetti nei Cambiamenti Climatici.

 

 

Di Ugo Bardi

Dipartimento di Chimica – Università di Firenze

www.aspoitalia.net - Marzo 2005

 

 

Diversi anni fa, mi capitò di passare con le ruote della motocicletta sopra una macchia scura sull’asfalto. Mi ritrovai per terra senza aver avuto neanche il tempo di domandarmi, “non sarà mica olio, quella roba?” La caduta  non mi causò grossi danni, ma mi ha dato un elemento di riflessione su come, in certi casi, cause molto piccole possono dare origine a effetti molto grandi, addirittura catastrofici.

 

Il caso di una motocicletta che scivola su una macchia d’olio ci sembra una cosa ovvia. Ma le cose non sono così ovvie per altri casi che ci sono meno familiari, come per il clima. Avrete forse sentito parlare di come “il battito d'ali di una farfalla in Brasile, può generare un tornado in Texas", espressione usata nel 1963 dal meteorologo Edward Lorenz del MIT. E’ un modo un po’ fantasioso – ma non assurdo – di illustrare come il clima sia qualcosa di instabile che viene facilmente influenzato anche da piccole perturbazioni.

 

Gli uragani possono fare gravi danni, ma ben di peggio potrebbe fare il riscaldamento globale causato dall’effetto serra. Questo è un evento che potrebbe essere causato da gas come il biossido di carbonio, CO2, generati dalla combustione degli idrocarburi fossili. A proposito di  questo cambiamento climatico, non tutti sono daccordo che potrebbe avvenire veramente. L’internet è pieno di “dimostrazioni” che l’attività umana è un fattore troppo piccolo per poter essere la causa dei cambiamenti già osservati, come pure troppo piccolo per avere più di un effetto infinitesimale per il futuro.

 

Tipicamente, chi fa questa dimostrazione parte da una stima della quantità di carbonio coinvolta nel ciclo biologico; ovvero la massa delle piante ed animali sommata alla quantità di CO2 presente nell’atmosfera e disciolta negli oceani. Trovata questa massa, si fa il rapporto con la massa della CO2 generata dall’attività umana e si trova un valore molto grande, diciamo un fattore 50 o anche di più. Ne segue il ragionamento che, “dato che la massa di carbonio generata dall’attività umana è molto piccola rispetto alla massa di carbonio totale, ne consegue che l’attività umana non può avere nessun effetto sul clima terrestre.”

 

Questo ragionamento può sembrare anche logico, ma ha qualche problema. Proviamo a traslarlo all’esempio della motocicletta, “dato che la massa dell’olio sulla ruota è piccola rispetto alla massa della motocicletta, ne consegue che l’olio non può avere nessun effetto sulla stabilità della motocicletta.” Evidentemente, c’è qualcosa che non va.

 

Che cos’è che non va? Basta pensarci sopra un po’ per capire che nel caso di sistemi che sono instabili, piccole (o anche minuscole) perturbazioni possono causare effetti molto grandi (o anche catastrofici). Pochi grammi d’olio fanno cadere una motocicletta che pesa un centinaio di chili, una buccia di banana manda a gambe all’aria una persona, un’incrinatura causa la rottura di un pezzo sotto sforzo, la punta di uno spillo fa esplodere un pallone, eccetera. Allo stesso modo, se il clima terrestre è instabile, anche una quantità relativamente piccola di biossido di carbonio potrebbe essere la causa scatenante di un cambiamento climatico rovinoso.

 

Il fatto che il clima terrestre sia instabile, addirittura pericolosamente instabile, è qualcosa che non è ancora entrato nel bagaglio culturale generale. Se fosse cosa nota a tutti, nessuno farebbe ragionamenti come quello che abbiamo visto prima, ovvero che non è possibile che i grandi cambiamenti climatici siano causati da piccole perturbazioni dovute all’attività umana. Per convincersi che questo ragionamento è sbagliato, è il caso di rivedere brevemente quello che sappiamo sul clima terrestre.

 

Nel passato, i cambiamenti climatici sono stati profondi e a volte catastrofici. La scoperta delle ere glaciali, verso la metà del secolo XIX, è stata una sorpresa. Fino ad allora, nessuno avrebbe potuto immaginare di quanto fosse effettivamente variabile il clima terrestre. I nostri antenati hanno visto l’era glaciale più recente, quella che terminò circa 10 mila anni fa: il periodo cosiddetto “Wurm”, o “Last Glacial Maximum”. Ce ne sono state molte altre in ere più lontane e abbiamo evidenza che, circa 600 milioni di anni fa, tutta la terra, oceani compresi, era ricoperta di ghiacci. Questo episodio di glaciazione estrema viene chiamato la “palla di neve Terra” (Snowball Earth). Secondo alcuni, a quel tempo qualche area equatoriale era rimasta libera da ghiacci e si parla allora di “palla di neve parzialmente squagliata” (Slushball Earth). Comunque sia, è impressionante pensare come l’espansione delle calotte polari aveva ricoperto di ghiaccio tutto il pianeta o quasi e che le cose erano rimaste così per qualche centinaio di milioni di anni. Pare che altri episodi del genere siano avvenuti in tempi ancora più remoti.

 

Le glaciazioni non sono l’unico evento catastrofico che si è verificato a livello planetario; anzi. Da quello che sappiamo, sembra che l’espansione dei ghiacci sia un fenomeno abbastanza graduale, che dura centinaia di migliaia di anni. Ben più rapido, invece, è il fenomeno opposto, ovvero il riscaldamento globale che mette fine a un’era glaciale. Questa fase di riscaldamento brusco può durare solo poche migliaia di anni, o addirittura poche centinaia, e viene chiamata a volte “Bagno Turco Planetario” oppure “Sauna planetaria” (Planetary Hothouse).  Gli effetti sulla vita sono spesso disastrosi. Le terre emerse si desertificano, le grandi correnti oceaniche si arrestano e ne consegue la perdita di ossigenazione (anossia) delle acque. Il risultato è l’estinzione di un gran numero di specie. La più grande estinzione di massa che la storia planetaria ricordi è quella della fine del periodo Permiano, circa 270 milioni di anni fa; associata al riscaldamento successivo alla fine di un era glaciale. Non fu uno scherzetto: ridusse la Terra a un deserto desolato con la perdita di oltre il 95% delle specie esistenti. Ci vollero circa cento milioni di anni per ritornare a un grado di diversità biologica comparabile a quanto esisteva prima.

 

La “madre di tutte le estinzioni” della fine del Permiano non è stata la sola. Anche l’estinzione dei dinosauri, circa 60 milioni di anni fa, che si ritiene comunemente dovuta all’impatto di un asteroide, potrebbe essere stata causata invece da un episodio di intenso riscaldamento globale. Ci sono state molte altre fasi di riscaldamento, più o meno disastrose. Le principali sembrerebbero associate con un ciclo planetario che vede una fase di estinzione di massa ogni 62 milioni di anni circa. Ma ci sono state molte fasi di riscaldamento al di fuori di questo ciclo. Il riscaldamento che seguì la fine dell’ultima era glaciale, circa 10.000 anni fa è associato all’estinzione di un buon numero di specie, i mammuth per esempio, anche se non è chiaro se il cambiamento climatico sia stata la vera ragione della loro sparizione.

 

Ma cosa causa queste fluttuazioni climatiche; ere glaciali e bagni turchi? La comprensione dei meccanismi della regolazione termica planetaria è uno dei grandi successi della scienza moderna. Già molto tempo fa si era osservato che le ere glaciali recenti seguono un ciclo complesso che può essere messo in relazione con cicli cosmici dovuti all’interazione della precessione degli equinozi con l’eccentricità dell’orbita terrestre e altri fattori. Ma questa è semplicemente l’osservazione di una correlazione e non ci dice molto sui meccanismi che fanno scattare i cambiamenti climatici. Per arrivare a capire questo punto bisogna aspettare il contributo di Lynn Margulis e James Lovelock che per primi proposero negli anni 1970 l’idea dell’ “autoregolazione” del clima terrestre.

 

Si sa che la temperatura terrestre è controllata dalla quantità di biossido di carbonio (CO2) presente nell’atmosfera. Questo CO2 causa un forte effetto riscaldante (“effetto serra”). Se non ci fosse il CO2, la terra sarebbe oltre trenta di gradi più fredda, in media, di come è. L’idea di Margulis e Lovelock è che la quantità di CO2 nell’atmosfera è “auto-regolata” dai cicli biologici della fotosintesi e della respirazione. Se la concentrazione di CO2 aumenta per qualsiasi ragione, il pianeta si riscalda ma questo causa anche un aumento dell’attività fotosintetica delle piante che assorbe CO2 e rimette le cose come erano prima. Il contrario avviene se la concentrazione di CO2 diminuisce. Lovelock chiamò questo meccanismo di regolazione “Gaia,” dal nome della dea della Terra.

 

 L’idea di Gaia di Lovelock e Margulis si è rivelata sostanzialmente giusta, ma un po’ troppo semplificata. Non c’è solo il ciclo biologico del CO2 a regolare la temperatura del pianeta: ci sono letteralmente decine di meccanismi biologici e non biologici che hanno effetti sul clima. Alcuni sono correlati all’attività biologica, altri a effetti inorganici o addirittura non terrestri, per esempio all’interazione dell’alta atmosfera con i raggi cosmici. Alcuni cicli sono a breve termine, con tempi di risposta dell’ordine delle decine di anni (appunto il ciclo biologico del CO2) altri hanno tempi dell’ordine delle centinaia di migliaia, o forse di milioni di anni. Quest’ultimo è il caso del ciclo “lento” del carbonio che vede uno scambio di carbonio fra la crosta terrestre e il mantello sottostante e che è, forse, il ciclo più importante nella regolazione del clima terrestre.

 

Alcuni meccanismi, come il ciclo lento del carbonio, tendono a stabilizzare il clima, altri tendono a destabilizzarlo. Per dare un esempio di un meccanismo destabilizzante (e pericolosamente destabilizzante) considerate l’effetto degli “idrati di metano.” Il metano si forma dalla decomposizione di materiale biologico; è parte del normale ciclo della biosfera e viene rapidamente decomposto e riassorbito. Tuttavia, alle alte pressioni e basse temperature presenti all’interno dei ghiacci naturali, per esempio nel permafrost delle regioni fredde, grandi quantità di metano rimangono stabilmente intrappolate a livello molecolare come “idrati.” Finche il metano è intrappolato nel ghiaccio non ha effetto sul clima ma, se la temperatura aumenta per una ragione qualsiasi, il ghiaccio fonde e il metano viene rilasciato nell’atmosfera. Il metano è un gas serra anche più potente del CO2 per cui, se la quantità generata è troppo grande per essere assorbita dai meccanismi biologici, si genera un ulteriore riscaldamento. A sua volta, questo riscaldamento causa la fusione di altro ghiaccio. Da questo viene altro metano e così via. Il meccanismo si auto-rinforza causando un aumento della temperatura sempre più rapido, addirittura esplosivo.

 

Da quello che sappiamo, il tipico meccanismo che ha causato i riscaldamenti rovinosi del passato è una serie di eruzioni vulcaniche che hanno causato un aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera troppo grande per essere assorbito dai normali meccanismi biologici e troppo rapido per essere assorbito dal ciclo lento del carbonio. Può darsi che il calore generato dall’eruzione abbia anche l’effetto di riscaldare direttamente le aree ghiacciate dando il via al disastroso meccanismo di rilascio del metano dagli idrati. Pare che, in effetti, siano stati gli idrati la vera “bomba” che ha causato le grandi estinzioni di massa delle ere passate.

 

Per il momento non sappiamo prevedere con esattezza gli effetti delle interazioni fra i vari meccanismi di controllo climatici. Sappiamo tuttavia che perturbazioni anche di piccola entità possono portare a quell’effetto che viene chiamato “Cambiamento Climatico Brusco” (ACC, abrupt climate change) che è l’equivalente planetario della caduta rovinosa per una motocicletta. Sappiamo anche che la perturbazione che può portare a questi bruschi cambiamenti è una variazione della concentrazione del CO2 nell’atmosfera.

 

Nel passato, erano i vulcani a cambiare la concentrazione del CO2 atmosferico. Oggi, lo stanno facendo gli esseri umani bruciando combustibili fossili, senza ancora rendersi conto che stanno trafficando con i meccanismi che rendono possibile la loro stessa esistenza. Già oggi, il riscaldamento causato dall’attività umana sta causando il rilascio di grandi quantità di metano dagli idrati polari. Questo sarebbe già preoccupante di per se, senza contare che c’è addirittura chi pensa di andare ad estrarre altro metano dagli idrati per usarlo come combustibile. Gli idrati sono una vera e propria bomba climatica, innescata e pronta a esplodere. Che qualcuno pensi veramente di andare a stuzzicare il detonatore per riempire i serbatoi delle SUV è una delle grandi follie del nostro tempo.

 

Credevamo di essere seduti su una solida roccia, e invece ci stiamo accorgendo che siamo sul sedile di una motocicletta in piena corsa. Se Gaia è al manubrio, non sembra che abbia preso lezioni di guida e, da quello che è successo al clima nel passato, si meriterebbe di essere bersagliata con le peggiori barzellette sulle donne al volante. Non esiste garanzia che i cicli climatici planetari non possano essere rovinosamente destabilizzati anche da piccole perturbazioni, anzi, da quello che sappiamo sono proprio le piccole perturbazioni che causano i grandi cambiamenti climatici. Per questo, gli effetti dell’attività umana, anche se apparentemente piccoli, non sono da sottovalutare. Chi va in motocicletta deve stare attento alle macchie d’olio e il suggerimento “non ti preoccupare che tanto la massa di olio è piccola” non sarebbe accolto bene.

 

L’effetto delle azioni umane sul clima è già visibile, ma per fortuna ancora limitato. Non siamo ancora scivolati per terra ma la sbandata è già evidente. Se rallentiamo e prendiamo in mano il manubrio ora, possiamo rimanere in assetto. Se continuiamo ad accellerare, ovvero a bruciare composti di carbonio in quantità sempre maggiori, non è ovvio che riusciremo a evitare la caduta.

 

 

 

bardi@unifi.it