L’ESAURIMENTO DEI COMBUSTIBILI FOSSILI

 

Sintesi dell’intervento di Ugo Bardi al convegno

Supporto ad interventi di pianificazione energetica da parte dei comuni

Organizzato da I2T3, Firenze 28 Gennaio 2005

 

 

www.aspoitalia.net

bardi@unifi.it

 

 

Nell’attuale clima politico, già iniziare una presentazione con il titolo “Esaurimento dei Combustibili Fossili” ha l’aria di essere provocatorio e politicamente scorretto. Eppure non c’è cosa più ovvia del fatto che i combustibili fossili – e in primo luogo quel prezioso idrocarburo che si chiama “petrolio” - sono destinati ad esaurirsi prima o poi, in accordo con il vecchio detto toscano, “leva e non metti fa la spia”.

 

Il problema, secondo molti, sta tutto nel definire quel “prima o poi”. Molti trovano rassicurante il fatto, spesso conclamato dai rassicuratori ufficiali, che “al ritmo attuale le riserve dureranno ancora quarant’anni”. Forse il numero, nudo e crudo, non è neanche sbagliato ma, a parte che l’orizzonte di 40 anni rientra nell’aspettativa di vita di moltissimi di noi, cosa vuol dire “al ritmo attuale”? Ci aspettiamo forse che il petrolio finisca come la birra nel frigorifero? Ovvero, come quando uno si accorge di aver usato l’ultima lattina e bisogna tornare al supermercato a ricomprarla? O non è piuttosto che per il petrolio noteremo sintomi di esaurimento ben prima? Non è che gli aumenti dei prezzi osservati negli ultimi tempi sono un indizio dello “scricchiolare” del sistema produttivo; evidenza che qualcosa sta andando storto?

 

Per la maggior parte di noi, la percezione della quantità effettiva di petrolio che rimane nei pozzi è un dato non accessibile; questo anche se ci prendessimo la briga di cercare di accederci; cosa che pochi fanno. Normalmente, per la maggior parte della gente, l’esaurimento delle risorse è un “non-problema”. Finché la risorsa è accessibile sul mercato a prezzi ragionevoli, nessuno fa caso al fatto che, necessariamente, via via che la si estrae la quantità che rimane si riduce. Quello che mette la gente sull’allerta è invece la questione dei prezzi. Quando si comincia a toccare il portafoglio, evidentemente, tutti si allarmano. Si parla di crisi, immediatamente tutte le fonti ufficiali di notizie si precipitano a rassicurare tutti che si tratta solo di una crisi temporanea, che le risorse sono abbondanti, che è solo questione di sistemare alcune cosette e poi con la ripresa economica (sempre dietro l’angolo) tutto ritornerà come prima. In effetti, negli ultimi tempi, i prezzi del petrolio hanno dato molto lavoro da fare ai rassicuratori ufficiali. Vediamo nel seguito l’andamento dei prezzi negli ultimi due anni e mezzo circa:

 

 

 

 

Vediamo che la crescita ha seguito un’andamento abbastanza regolare di tipo esponenziale anche se frastagliato sulla scala dei tempi brevi. A ogni piccolo picco della curva, i media si affannavano a spiegare che era colpa dell’attentato in Arabia Saudita, dell’ultima videocassetta di Bin Laden, delle dichairazioni di questo o quel potente locale. In realtà, queste spiegazioni valgono circa come gli oroscopi che basano quello che succede sulle congiunzioni planetarie. Non è certo Bin Laden (o chi altro) che si può essere messo daccordo con le compagnie petrolifere e gli operatori di borsa per far crescere il prezzo del petrolio regolarmente in modo esponenziale per due anni e mezzo. Ci deve essere sotto qualche fattore strutturale.

 

Negli ultimi mesi, sembrerebbe che la crescita esponenziale dei prezzi si sia interrotta, anche se i prezzi rimangono molto alti in confronto a quella che era ritenuta la norma fino a qualche anno fa. In effetti, niente può crescere in modo esponenziale molto a lungo, per cui non ci sarebbe da stupirsi se siamo entrati in una nuova fase del mercato. A questo punto, è interessante dare un’occhiata all’andamento storico dei prezzi del petrolio (i prezzi nella figura seguente sono in dollari al barile, corretti per l’inflazione al valore del 2003):

 

 

 

 

Vediamo che ci sono state due fasi nella storia dei prezzi del petrolio. L’ “età dell’oro” fino a circa il 1970, prezzi stabili e produzione in crescita esponenziale (7% all’anno). Dopo le grandi crisi del petrolio, è iniziata una fase differente e le cose non sono tornate più come prima, anche se l’euforia del boom della “new economy” degli anni ’90 ci aveva fatto dimenticare l’esistenza del problema. Sembrerebbe che il mercato non riesca a “vedere” tendenze che si espandono oltre qualche anno. Dal 1985 al 1998, circa, i prezzi erano stati alti e oscillanti, ma nel complesso in diminuzione. Questo era bastato a far dimenticare a tutti la crisi degli anni ’70.

 

Quindi, siamo in una fase di grandi oscillazioni e prezzi alti, perciò quello che è successo dal 200 al 2005 non dovrebbe stupire nessuno. Ma a cosa è dovuto? C’è la possibilità che il petrolio si stia effettivamente esaurendo? La domanda, a questo punto è “quanto petrolio rimane nei pozzi”?  La stima di questa grandezza spetta ai geologi esperti di petrolio. Vediamo nella figura seguente le loro stime sul totale di petrolio esistente sul pianeta prima che cominciassimo a estrarlo e bruciarlo.

 

 

 

 

Questo grafico è abbastanza interessante nel fatto che mostra che le stime delle risorse sono rimaste nella media invariate a partire dagli anni ’60. Sfata dunque il mito che “c’è sempre più petrolio da estrarre”, ovvero che “le riserve continuano ad aumentare”. D’altra parte, è anche da notare come l’incertezza dei dati sia molto ampia; fra il massimo e il minimo delle stime più recenti c’è una differenza di quasi un fattore due. In parte, questo è dovuto alla difficoltà oggettiva e all’incertezza di stimare la quantità di qualcosa che si trova sottoterra a profondità di parecchi chilomentri. In realtà, tuttavia, il maggior fattore di incertezza è probabilmente politico. Ovviamente, se qualcuno possiede un giacimento, non ha nessun interesse a far sapere che quel giacimento è in via di esaurimento. Al contrario, la tentazione è quella di gonfiare le cifre. Esistono regole precise per la rendicontazione delle riserve, tuttavia tutte le regole possono sempre essere infrante o ignorate. Inoltre, nulla vieta a chiunque di farsi un sito internet dove espone dati che si è inventato di sana pianta sulle riserve petrolifere, proprio come nulla vieta di dichiararsi il nuovo messia o l’unto del signore. L’ultima moda è quella di una banda di folli che pretendono che le riserve petrolifere siano “infinite” in quanto il petrolio sarebbe continuamente rigenerato nelle viscere del pianeta. Questi qua sembrano utlizzare il puro volume dei ragionamenti come arma contro la correttezza scientifica. Ultimamente, sembrerebbe che si siano un po’ calmati, ma continuano a insistere.

 

La situazione è dunque tale che molti dati sulla effettiva consistenza delle risorse di petrolio sono da prendersi con cautela. Il grafico di prima espone dati che hanno tutti un certo valore scientifico, eliminando quelli ovviamente folli e e inaffidabili. Si puo’ cercare di ottenere un dato ragionevole facendo la media fra misure ragionevoli, e così facendo si arriva a un valore approssimato di 2000 miliardi di barili come eredità che gli eoni passati ci hanno lasciato. Di questi, circa 1000 li abbiamo bruciati fino ad oggi. Ce ne restano circa la metà, 1000 miliardi di barili. A un consumo di oltre 25 miliardi di barili all’anno, questo fa, in effetti, all’incirca quei famosi 40 anni di cui parlavamo prima.

 

Ma questo tipo di stime lascia il tempo che trova. Se c’è ancora petrolio (e, evidentemente, ce n’è ancora) che cosa causa le oscillazioni e gli aumenti dei prezzi? Forse c’è un dato più eloquente che ci può dare qualche informazione in merito.

 

 

 

Queste curve mostrano l’ammontare delle scoperte petrolifere e della produzione. Si vede che le scoperte hanno avuto un massimo verso gli anni ’60 e da allora sono state in declino. Oggi, scopriamo circa un barile di petrolio per ogni 4 che bruciamo. Questo fa ulteriormente giustizia dell’idea che “si scopre sempre più petrolio”. Non è così ed è improbabile (per non dire altro) che nel futuro le scoperte ritornino al livello di come erano negli anni 60.

 

Ora, è un fatto abbastanza ovvio che prima di estrarre il petrolio bisogna scoprirlo e che fra le due cose passa un certo tempo. E’ noto che le curve di produzione delle varie regioni mondiali tendono a seguire l’andamento delle curve delle scoperte. Come esempio, proviamo a vedere il caso della produzione mondiale, con l’eccezione degli stati del Golfo Persico, secondo un grafico prodotto dal geologo francese Jean Laherrere.

 

 

 

 

In questa figura, la curva blu è quella delle scoperte, quella nera quella della produzione. La curva delle scoperte è stata spostata sull’asse in modo tale da essere quasi sovrapponibile con quella della produzione: fra le due c’è un intervallo di circa 30 anni. Ne possiamo dedurre che la produzione segue l’andamento delle scoperte con un intervallo di, appunto, trent’anni. Ci sono molti altri esempi di questo andamento che appare essere abbastanza accertato come fenomeno “robusto”.

 

Quindi, non abbiamo bisogno di andare a racimolare dati incerti sulla quantità di petrolio che c’è nei pozzi. Una buona idea di quello che ci può succedere nel futuro viene dall’esame di quello che è successo nel passato. Se torniamo al petrolio globale, possiamo guardare la figura seguente:

 

 

 

 

Qui vediamo la curva delle scoperte lisciata e ci domandiamo che cosa ragionevolmente aspettare per il futuro. Ovviamente, nessuno scommetterebbe né per la curva A, né per la curva B (che, incidentalmente, è la versione grafica di quel ragionamento che vuole che “le riserve dureranno ancora quarant’anni”). Quello che ci possiamo aspettare, ragionevolmente, è la curva C. Questi ragionamenti possono essere messi in una forma quantitativa secondo un modello sviluppato dal geologo inglese Colin Campbell:

 

 

 

Questa curva viene detta anche “curva di Hubbert” a onore del geologo americano Marion King Hubbert, che descrisse questo andamento per la prima volta negli anni ’50 riferendosi alla produzione petrolifera degli Stati Uniti. Secondo questa simulazione, possiamo aspettarci che la produzione raggiunga il massimo verso il 2008 per poi iniziare il declino. Fattori politici (guerre, bombardamenti e simili) potrebbero influire sulla curva, causando un declino più rapido.

 

Ovviamente, la curva non dice niente a proposito dei prezzi e, sotto certi aspetti, potrebbe essere anche vista in termini positivi. Dopotutto, dice che verso il 2050 avremo ancora petrolio, anche se la produzione sarà ridotta a circa la metà dell’attuale. Tuttavia, c’è un piccolo problema: i prezzi. Siccome l’andamento della curva è dovuto all’equilibrio di mercato, ne consegue che il declino della produzione è dovuto al declino della domanda. Il declino della domanda, a sua volta, non può essere dovuto ad altro che all’aumento dei prezzi. Ovvero, ci aspettiamo che i prezzi aumentino, e non di poco, nel periodo in vicinanza del picco. Questa predizione la possiamo verificare storicamente osservando l’andamento dei prezzi per la produzione dell’olio di balena, che è anch’essa passata per una curva di tipo Hubbert.

 

 

Dato questo tipo di predizione, cosa possiamo aspettarci per il futuro? Di certo, non possiamo aspettarci che l’aumento consistente dei prezzi del petrolio non abbia effetti sulla nostra società. Come vediamo nella figura seguente, (sempre opera di Laherrere) il petrolio rimane tuttora il combustibile di gran lunga più importante nel panorama energetico mondiale.

 

 

 

 

Senza energia non possiamo fare niente, ma anche con meno energia del normale, le cose non vanno bene. Vediamo nella figura seguente, per esempio, come l’andamento della disoccupazione negli Stati Uniti segua strettamente, con uno sfasamento di solo un anno, l’andamento dei prezzi dei carburanti.

 

 

Decisamente, l’aumento dei prezzi del petrolio non è una cosa indolore e malgrado le promesse dei politici, l’effetto del petrolio a 50 dollari al barile deve ancora farsi sentire sulla nostra economia. Quanto a quali questi effetti possano essere, possiamo dare un’occhiata a quello che sta succedendo già oggi, e vediamo che abbiamo:

 

 

 

Anche una lista di questo tipo è assai politicamente scorretta. D’altra parte è esattamente quello che stiamo vedendo succedere oggi. L’analisi che abbiamo fatto finora non ci dice niente di nuovo su questo, salvo il fatto che la crisi è dovuta in gran parte all’aumento dei prezzi dei combustibili fossili e del petrolio in particolare. L’analisi ci dice anche che la crisi è destinata a durare finchè non avremo sostituito il petrolio con qualcosa di altrettanto pratico e a buon mercato.

 

Fra qualche decennio, è probabile che avremo costruito un sistema energetico planetario basato su fonti diverse e migliori del petrolio. Per il momento, tuttavia, non abbiamo niente a disposizione che possa contrastare efficacemente il declino del petrolio. Il gas naturale comincerà a declinare poco più tardi del petrolio. Il carbone è più abbondante, ma i combustibili liquidi ottenuti dal carbone sono molto costosi; il carbone stesso è un forte emettitore di gas serra e una sua espansione su larga scala farebbe enormi danni. Il nucleare è fermo da decenni, può darsi che si riesca a farlo ripartire, ma gli enormi problemi che pone sono tuttora irrisolti. Le energie rinnovabili sono, in linea di principio, la migliore soluzione, sicuramente l’unica definitiva. Partono però oggi da livelli di produzione molto bassi (circa l’1% della produzione mondiale di energia) e quindi devono fare ancora molta strada anche se stanno crescendo con una rapidità stupefacente.

 

Quindi, al momento attuale, si tratta di rendersi conto che andiamo verso una inevitabile contrazione economica che durerà, per ben che vada, almeno un paio di decenni. Se non perdiamo il sangue freddo, non ci succederà niente di male. Ma bisogna cominciare a pensarci da oggi. Putroppo, sembra che il messaggio sull’esaurimento delle risorse fossili non arrivi alle orecchie degli amministratori che continuano a programmare come se l’attuale recessione fosse una cosa temporanea, destinata a risolversi non appena arriverà “la ripresa” (sempre dietro l’angolo). Così si continua a programmare la costruzione di aeroporti, alberghi, autostrade a otto corsie, ponte sullo stretto, eccetera, sprecando risorse che dovrebbero invece essere destinate allo sviluppo di fonti rinnovabili e di un’infrastruttura energetica che ci permetterebbe di renderci indipendenti dalle oscillazioni del mercato.

 

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